Friedrich-Wilhelm von Herrmann, Francesco Alfieri: Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri

Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri Book Cover Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri
Filosofia -Testi e Studi, n. 72
Friedrich-Wilhelm von Herrmann, Francesco Alfieri
Morcelliana
2016
Cloth € 35,00
464

Reviewed by: Laura Paulizzi (École Normale Supérieure, Paris)

L’intellettuale attuale si distingue da quello “antico” oltre che per il modo di fare ricerca, data la varietà odierna, qualitativa e quantitativa, di fonti a disposizione di tutti, anche per le diverse dinamiche e i diversi scopi di diffusione del sapere. È probabile che di uno scritto si affermi prima la sua fama, e che questa si sostituisca al suo contenuto ; infatti se normalmente ci si deve trattenere dal giudicare un libro dalla copertina, con il fenomeno “Martin Heidegger antisemita” viene da domandarsi se la moltitudine che ha espresso opinioni, giudizi e sentenze a riguardo, l’abbia almeno mai vista quella dei Quaderni neri. È molto facile, poi, arrivare ad erigere interpretazioni o indirizzi di pensiero partendo da estrapolazioni linguistiche ; con un qualsivoglia contenuto filosofico, questo lavoro di isolamento del particolare, della parte rispetto al tutto, risulta abbastanza semplice. Infatti, un enunciato filosofico, se non letto alla luce di un contesto, del suo proprio sorgere, può adagiarsi comodamente sulle più difformi opinioni. A questo punto, i frutti delle diverse letture interpretative, sorte dallo sradicamento di porzioni di pensiero e di affermazioni filosofiche singolari, possono imboccare strade certamente differenti : prendere piede in contesti scientifico-accademici, o essere accolte in circostanze meno elitarie, alla portata di tutti, come per esempio quelle mediatiche. Ora, se questo desumere dà vita ad un pensiero apparentemente organico che ha la fortuna di essere accolto favorevolmente da entrambi i contesti, accademici e mediatici, può accadere che altri intellettuali, di “vecchio stampo” potremmo dire, sentano il bisogno di far sorgere un nuovo flusso di pensieri che, pur non ponendosi come semplice risposta a questo sradicamento, ha il merito di far riemergere l’originarietà del pensiero preso di mira, i cui frammenti stavano costituendosi come opera a sé ; questi studiosi si sentono in dovere, in nome di quella ricerca non strumentalizzata, ovvero non mirante ad altro, di “riassestare” la sistematicità di un contenuto filosofico, il quale, essendo stato sottratto al suo contesto, al suo stesso sviluppo, non vede il suo senso solo alterarsi, bensì mutare radicalmente, assumere altri significati.

            È questo l’excursus che viene narrato in Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, dal  Professor Friedrich-Wilhelm von Herrmann, ultimo assistente di Martin Heidegger, e dal Professor Francesco Alfieri. Quest’ultimo infatti, è invitato dal primo a leggere gli Schwarze Wachstuchhefte, ma non comprendendone il “senso e il nesso” — come egli stesso afferma in un’intervista curata da Elena Poletti dell’associazione ASIA -, si rivolge di nuovo a Von Herrmann e da questi primi scambi inizia una corrispondenza tra i due che si traduce in un lavoro costante di commento al testo. Le annotazioni heideggeriane vengono così fatte oggetto di uno studio filologico, che in seguito si configurerà come seconda parte del libro, dal titolo “Analisi storico-critica sine glossa”. Una terza figura significativa del progetto, pur non avendo contribuito direttamente ad esso, è Peter Trawny, fattosi portavoce di una incauta interpretazione, come vedremo,  che ha condotto al solido affermarsi dell’idea di un antisemitismo presente in tutto il pensiero di Martin Heidegger ; idea che ha assunto dimensioni importanti, fino a prendere su di sé i tratti di un vero e proprio indirizzo filosofico, detto “antisemitismo ontostorico”. Questa corrente di pensiero ha guadagnato terreno anche in Italia, dove è andata via via sviluppandosi come “antisemitismo metafisico” « che trova la sua origine nella filosofia tedesca, e precisamente in una serie di pensatori che da Kant giunge fino a Nietzsche, per poi trovare il suo culmine in Heidegger » (p. 14). Fatto inconsueto questo. Data infatti la difficoltà odierna del farsi strada di un dibattito filosofico di grande portata, lascia sorpresi come esso sia invece emerso proprio in seguito a un simile lavoro di estrazione che trova le sue fondamenta in una chiave di lettura dualistica, esoterico-essoterica, dell’intera opera heideggeriana. Ecco infatti la vera bizzarria della questione. Secondo gli autori di Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri isolando alcuni passi delle annotazioni heideggeriane e interpretandoli seguendo una direzione univoca, Trawny ha avuto un riscontro positivo coinvolgendo tuttavia il pensiero di Heidegger nella sua interezza. In altre parole, il fenomeno dell’antisemitismo heideggeriano rende manifesta la facilità con cui dalla trattazione di singoli passaggi, estraniati dalla loro rete concettuale, si traggono al contrario considerazioni di carattere generico.

           Questo spunto di riflessione nasce a partire da un’adeguata e disinteressata lettura del testo su Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri, a cui effettivamente esso si presta poiché viene alla luce proseguendo secondo lo stesso metodo, sospendendo il giudizio. Difatti, uno degli aspetti che lo rende più interessante  è il carattere non heideggeriano di Alfieri, il quale ha analizzato le annotazioni di Heidegger linguisticamente, filologicamente, per comprenderne in prima persona il senso. Nonostante poi, in un secondo momento i celebri taccuini fossero stati destinati alla pubblicazione dallo stesso Heidegger, ma solo alla fine dell’edizione delle sue opere complete, bisogna tenere costantemente a mente, e su questo il libro insiste, il fatto che si tratta di appunti su riflessioni private che Heidegger annotava anche durante la notte su dei pezzi di carta che, a questo scopo, teneva prontamente accanto al letto. Il vero lavoro per von Herrmann e Alfieri è stato dunque quello di costruire in itinere un percorso che ridesse sì, giustizia ad un pensiero caduto vittima di strumentalizzazioni anche mediatiche, ma che aiutasse loro in primis a comprendere una posizione poco chiara che poggiava su affermazioni effettivamente inusuali, soprattutto per il fatto di essere personali e private.

            Il testo sembra dunque presentare un duplice intento dettato certamente dalla primaria esigenza di restituire dignità speculativa al pensiero heideggeriano, sottoposto ad un dibattito non filosofico, sottraendo il contenuto degli Schwarze Hefte ad una qualsivoglia strumentalizzazione. Da una parte, in particolare da quella di  von Herrmann che lo esprime più che chiaramente, c’è il bisogno di « comprendere quale sia stato il reale coinvolgimento di Heidegger con il nazionalsocialismo e il perché egli abbia deciso di non volersi opporre pubblicamente ad esso » (p. 16). Questa parte introduttiva del e al testo infatti, ne costituisce la premessa contestuale, descrive il clima in cui matura l’idea stessa del progetto ; in queste pagine emerge in maniera più decisiva la necessità di porre l’accento sull’errata interpretazione che ha condotto all’unilateralità di giudizio sulle annotazioni di Heidegger, frutto del lavoro svolto da Trawny e ritenuto poco filosofico. In questo senso, l’autore considera diversi punti di partenza, in primo luogo un’adeguata comprensione del termine Selbstvernichtung che può essere approfondito, tuttavia, solo successivamente ad uno studio concernente i Beiträge. Grande scoglio certo, per il lettore che non ha questo tipo di bagaglio in quanto, già di per sé il linguaggio heideggeriano, come ogni utilizzo speculativo del linguaggio, rimanda a significati ulteriori, che non ristagnano sulla superficie della cosa, sui suoi significati immediati e ben noti, ma conducono alla profondità del concetto, all’essenza del contenuto ; d’altronde questo è il prezzo da pagare qualora si intraprenda lo studio del pensiero dei maestri della filosofia.

            Ora, nella contestualizzazione del dibattito intorno ai Quaderni neri, di cui von Herrmann tiene a sottolineare che « per il fatto che un concetto del pensiero storico dell’evento come il “pensiero calcolante” sia riferito all’elemento ebraico, il puro concetto storico-ontologico non diventa “antisemita” » (p. 24), non manca un tono di denuncia determinato da un coinvolgimento personale oltre che professionale. Difatti, il Professore e Peter Trawny si conoscevano molto bene in quanto Trawny è stato seguito ed aiutato da von Herrmann dalla fine del suo dottorato fino al momento in cui egli, giunto all’età di 51 anni, non aveva ancora ottenuto un posto di professore retribuito, ma aveva una famiglia da mantenere. Fu con questo intento che il suo nome è stato indicato come curatore dei volumi, ma « nei quarant’anni di storia dell’edizione completa delle opere heideggeriane non era mai successo che uno dei curatori, parallelamente all’apparizione del volume da lui curato, pubblicasse un libro[1] con pretese interpretative — cosa espressamente vietata da Martin Heidegger » (p. 27). La pretesa interpretativa di cui ci parla l’autore tuttavia, com’è già stato detto, ha riscontrato un ampio consenso dando vita ad un dibattito che ha sconfessato 46 anni di pensiero storico-ontologico heideggeriano. È alla logica del consenso dunque, che si rivolge principalmente il libro ; difatti, ancor prima di addentrarsi nella trattazione specifica del suo oggetto, esso risveglia un senso di giustizia speculativa che rimanda ad un’esigenza oggi quasi impercettibile, data la vastità delle pubblicazioni e la frammentarietà di un vero dibattito filosofico attuale. Una lotta contro la strumentalizzazione e la finalizzazione della filosofia, che traspira volontà di non sconsacrare un pensiero che, in ogni caso, ha contribuito in modo ineguagliabile a dar vita e spirito a tutta la filosofia del Novecento. Anche gli autori si distanziano dalle dichiarazioni di Martin Heidegger contenute in questi ormai celebri taccuini, « ma non a costo di sconfessare l’importantissima opera di un grande pensatore » (p. 27). La stessa Hannah Arendt trovandosi a difendere, o meglio, a cercar di far capire il suo studio sul caso Adolf Eichmann mostrò il grande abisso che allontana la comprensione di un fenomeno dalla giustificazione e dal perdono dello stesso ; il risultato fu la nozione di “banalità del male”, uno dei concetti più significativi ed universali del suo pensiero, nonché della filosofia, dato che ahimè, vede la sua attualità al di là di ogni tempo storico determinato. In altri termini, se i grandi filosofi avessero proceduto all’espressione del loro pensiero con il timore di essere poi in seguito etichettati anche dai “non addetti ai lavori”, se nel timore del giudizio i pensatori avessero posto dei limiti alla propria operosità razionale, siamo d’accordo nell’affermare che i quasi tremila anni di filosofia non avrebbero mai visto la luce.

            Von Herrmann non manca inoltre di sottolineare come « [i] 14 passaggi testuali che nei volumi 95, 96 e 97 della Gesamtausgabe si riferiscono agli ebrei o all’ebraismo mondiale costituiscono appena tre pagine formato A4 in confronto alle 1245 pagine complessive di questi volumi » (p. 17) ; affermazione questa che potrebbe tradursi in una discolpa dalle accuse di antisemitismo rivolte ad Heidegger, oppure nella dimostrazione dell’accessibile rischio di compromettere un intero e complesso sistema di pensiero basandosi su singoli passaggi, la  scelta dipende certamente dall’inclinazione del lettore. Nondimeno, l’incisiva presenza della critica heideggeriana, il tono di denuncia, lo stile destante, inseriscono i riferimenti  all’ebraismo in una più generale critica alla modernità, e la critica in Heidegger è sempre di tipo filosofico-speculativa, mai rivolta ad altro né tantomeno politicamente orientata ; al contrario, lo sviscerare con il sacro mezzo della parola, il domandarsi originario, la capacità di saper questionare, restano i veri intenti della sua riflessione. La purezza di tale linguaggio, che di certo non si lascia attraversare senza fatica, non può lasciarsi vincolare però altrettanto facilmente a fraintendimenti di carattere politico. E non è senza fatica, infatti, che von Hermann e Alfieri, nell’indagine sui Quaderni neri, si sono impegnati in un lavoro che innanzitutto ha coinvolto i testi e la stessa scrittura.

            Lo sforzo ermeneutico e filologico è particolarmente evidente in quella che si configura come seconda parte del testo Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri. Difatti, se la premessa introduttiva di Von Herrmann illustra le opere heideggeriane  nella loro complessità, richiamandone alla memoria la successione cronologica e filosofica, nell’interesse di far emergere lo scarto tra il lavoro di Heidegger, volto da sempre a questioni di carattere teorico-speculative, e le possibili interpretazioni che invece mancano di basi filosofiche, la seconda parte conduce nel vivo della parola e il maggior proposito che vi si pone è quello di « far emergere anzitutto la complessa stratificazione terminologica delle annotazioni heideggeriane tenendo conto del contesto in cui sono inserite » (p. 53). Ecco la problematica fondamentale cui hanno dovuto soccombere gli autori e a cui è stato sottratto lo stesso lettore in seguito al lavoro svolto da Trawny, la riabilitazione del contesto. Sebbene lo spirito che ispira il libro sia accompagnato da un intento apparentemente “personale”, tentativo di chiarificazione dei nodi aporetici che costituiscono un pensiero già di per sé difficilmente interpretabile, se non incomprensibile ad una lettura superficiale del testo, esso non costituisce nel contempo una manovra redentrice. Procedendo con la lettura dunque, ci si inoltra nel mirabile lavoro di Alfieri, il quale riportando effettivamente all’attenzione alcuni passaggi delle annotazioni heideggeriane, risveglia l’oggettività di un approccio disinteressato. Al lettore imparziale, infatti, il contenuto dei Quaderni neri, non può non suscitare quel coinvolgimento speculativo a cui la penna di Heidegger, rara tra poche, perviene. Di fronte ad un’analisi linguistica dei problematici passaggi, Alfieri, ben edotto della laboriosità dell’impresa, introduce a più riprese i passi affrontati con un lodevole auspicio, che il suo lavoro venga in ogni caso sottoposto « al proprio e altrui vaglio di una critica radicale» (p. 54).

            Ora, l’analisi linguistico-ermeneutica condotta da Alfieri permette al senso dei taccuini rilegati con tela cerata nera di emergere, sollecitando il lento mostrarsi  della loro verità ; una verità che, in Heidegger, è nel linguaggio, nell’Essere, nell’autentico domandare, nella critica ad una modernità che rischia di perdere, attraverso le sue stesse istituzioni, la purezza di un pensiero originario, e di sostituire la filosofia con una “pseudofilosofia”. Vale la pena a questo proposito di riportare uno dei passi heideggeriani più significativi preso in esame da Alfieri e che costituisce il paragrafo 134 delle Überlegungen V :

« Chi crede che la “filosofia” andrebbe abolita dalle università, che comunque sono morte, e che andrebbe sostituita con la “scienza politica”, in fondo ha pienamente ragione senza avere la minima idea di che cosa sta facendo e di che cosa vuole. In questo modo non si abolisce certo la Filosofia — questo è impossibile — ma si toglie di mezzo qualcosa che ha l’apparenza della filosofia — in un certo senso si salva da pericolo di essere sfigurata. Se si procedesse a tale abolizione, allora la filosofia sarebbe, da questo lato, assicurata “negativamente” — e in futuro sarebbe chiaro che i sostituti dei professori di filosofia non avrebbero nulla a che fare  con la filosofia, neanche con la sua parvenza — ammesso che quella sostituzione non sprofondi ancora più nella parvenza della filosofia. La filosofia sarebbe scomparsa dall’“interesse” pubblico e educativo. E questa condizione corrisponderebbe alla realtà — poiché qui non vi è traccia di filosofia — e proprio allora, quando essa è veramente ».

       L’iniziale bisogno di comprendere per poi illustrare il “reale” coinvolgimento di Heidegger con il nazionalsocialismo, in questa seconda parte del testo Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri viene in qualche modo licenziato dalla profondità speculativa di riflessioni di questo tipo — culla di un fondato itinere filosofico. I possibili scopi altri del libro si inseriscono, dunque, in una cornice di rimandi al nazionalsocialismo, all’ebraismo, a Hitler, etc., che intendono sicuramente far luce sul rapporto che il pensiero di Heidegger vi intrattiene, ma che tuttavia finiscono in secondo piano rispetto al fascino teoretico delle fondamentali nozioni di quel pensiero. Alfieri si inoltra infatti negli abissi del linguaggio, nella parola di Heidegger, per comprendere, o meglio, per non fraintendere i pensieri inestimabili che ne risultano, e che restano tali, anche in seguito all’adesione al partito nazionalsocialista ; adesione di cui in questa sede non si parlerà in modo esauriente, ma si invitano piuttosto i lettori a capirne l’origine e la motivazione. In particolare, successivamente alla pubblicazione dei Quaderni neri nel 2014, si è andata formando una letteratura che tratta questo tema, oltre allo già citato Trawny. Il problema  diviene qui al contrario, quello di cernere, all’interno di questa varietà di analisi, opinioni e interpretazioni, quelli che seguono il procedere filosofico heideggeriano rintracciandone la genuinità del senso dal “gossip” filosofico che si è venuto a inserire con estrema facilità, data forse l’abbordabilità del tema dell’antisemitismo, in questo dibattito.

            Corretta la scelta da parte dei Professori Von Herrmann e Alfieri di inserire un terzo capitolo nel libro dedicato ai Carteggi inediti di Friedrich-Wilhelm von Hermann che comprende gli scambi epistolari di Martin Heidegger con lo stesso von Hermann  e Hans-Georg Gadamer. Anche in questa parte del testo, curata con precisione da Alfieri, viene assicurato l’intento di far chiarezza sul contenuto dei Quaderni neri, di cui si fa riferimento in primo luogo al titolo che in effetti contribuisce, in particolare per coloro che non assumono un atteggiamento disinteressato, a creare intorno alle già discusse annotazioni un’idea di segretezza, come giustamente esplicita lo stesso Alfieri :

 « A nostro parere, già la semplice denominazione di Quaderni neri ha creato un alone di mistero che, seppur in modo inconsapevole, ha condotto i lettori a immaginare che essi contengano qualcosa che — per qualche inspiegabile motivo — è stato a lungo tenuto nascosto e che, con la loro pubblicazione, “l’uomo Heidegger” sarebbe finalmente venuto allo scoperto in modo da poter essere “conosciuto” da tutti. La loro uscita non ha tuttavia prodotto un’autentica conoscenza di quello che Heidegger vi aveva annotato. Ci siamo infatti resi conto che l’espressione Quaderni neri — che indica la loro classificazione non il loro contenuto — è stata purtroppo utilizzata per rendere ancor più misterioso e inaccessibile il percorso tracciato da Heidegger nei suoi taccuini. E se a questo si aggiunge che, volutamente, non sono stati fatti conoscere all’opinione alcuni passi significativi in essi contenuti, è facile dedurre che non c’era modo migliore per tessere la fitta tela della strumentalizzazione tuttora in atto (p. 329) ».

Insomma, l’idea di un esoterismo interno all’opera heideggeriana e la prontezza con cui si è sviluppata la nozione di antisemitismo ontostorico, che con altrettanta lestezza ha acquisito consensi perfino nella pubblica opinione, lasciano supporre che ci fossero delle teorie latenti su Heidegger che si sono poi viste comprovate a partire dalla prima interpretazione che ha dato loro voce. Il perché di questo, certamente rimane da comprendere.

     Illuminante è poi l’appendice che chiude il libro, dal titolo La strumentalizzazione mediatica in Italia dei Quaderni neri curato dalla giornalista Claudia Gualdana, che passa in rassegna tutto ciò che è stato scritto sui giornali italiani a proposito del rapporto tra Heidegger e il nazismo e, più in generale, sui Quaderni neri. Partendo dal libro di Donatella Di Cesare Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri», si ripercorre quello che è stato da una parte il dibattito filosofico concernente la questione dell’antisemitismo heideggeriano e dall’altra la diatriba intorno ai Quaderni neri. In questa sezione i toni mutano e assumono una puntualizzazione polemica contro quella parte di studiosi e pensatori che concorda con la chiave di lettura di Trawny e della Di Cesare, richiamando alla memoria come già nel 1987 la controversia circa la suddetta questione si era avviata con Victor Farías ed era stata riproposta da Emmanuel Faye nel 2005. Vengono citati tra gli altri, consenzienti e non, il giornalista Antonio Gnoli, l’ex presidente della Martin Heidegger Gesellschaft Günter Figal, il filosofo Gianni Vattimo, Antonio Carioti, la fenomenologa Roberta de Monticelli, la giornalista Livia Profeti, Emanuele Severino, Giacomo Marramao, e tra i quotidiani La Repubblica, Il Corriere della Sera e Il Mattino ; un panorama complesso dunque anche dal punto di vista internazionale, che invita sicuramente ad un approfondimento del dibattito stesso, il quale secondo Gualdana in Italia si è sviluppato « a tratti in un dibattito pro o contro Di Cesare» (p. 414), ma che vale la pena approfondire ricorrendo direttamente ai testi di chi ne è coinvolto. Senza un rinvio alle fonti originali infatti, espressioni come quella della Di Cesare, che afferma come sia essenziale «studiare attentamente le pagine di Heidegger e guardare alla Shoah in una prospettiva inedita. Perché la Shoah non è solo una questione storica ma una questione filosofica che coinvolge direttamente la filosofia», restano enigmatiche, se non filosoficamente ingiustificate, proprio perché appunto, estratte dal loro contesto. Evitare di procedere come si è tentato di fare con il contenuto dei Quaderni neri di Heidegger, ovvero isolando dei passaggi per reinserirli in altri contesti a scopi interpretativi personali, resta dunque un metodo imparziale e filosofico per aprirsi ad una comprensione autentica dei concetti.

            Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri nel complesso sottolinea una linea di demarcazione tra un tipo di approccio agli Schwarze Hefte che trascura lo scenario generale a cui appartengono, e un’analisi che invece si rivolge ad essi super partes. Uno spartiacque “naturale” dunque, segna la critica successiva alla pubblicazione dei taccuini neri, tra una visione disinteressata marcata dalla volontà di comprendere il testo, innanzitutto filologicamente, senza necessità di difendere alcuna idea, e il bisogno invece di assumere una posizione attraverso un’interpretazione degli stessi scritti per proporre un proprio pensiero o convalidare una tesi specifica ; a questo tipo di necessità aderiscono secondo Gualdana  le voci di chi «vuol far clamore a tutti i costi, cadendo così nell’approssimazione e nell’invettiva più sterile» (p. 414), mentre il primo approccio sembra appartenere a chi per esempio, arriva a leggere la critica di Heidegger nei confronti degli ebrei come una polemica rivolta alla modernità, in cui agli ebrei «sono imputati alcuni elementi negativi al pari che agli altri protagonisti della critica heideggeriana» come afferma nell’Epilogo del libro Leonardo Messinese, che vede nella definizione di antisemitismo ontostorico una «sorta di drammatizzazione  della questione ebraica in Heidegger» (p. 384).

            A prescindere dalla diversità di approccio al testo, di analisi ermeneutica o di metodo di studio, l’auspicio più importante è che tutte le voci che hanno espresso la loro — voci che in questo caso appartengono anche al non filosofo, al non specialista della materia, dato che la faccenda “Heidegger antisemita” ha assunto proporzioni mediatiche importanti — abbiano letto attentamente e lentamente gli Schwarze Hefte oltre che gli scritti fondamentali dell’opera heideggeriana. È questo che distingue la ricerca filosofica autentica, svincolata da scopi “altri”, dal procedere secondo vie e linguaggi che differiscono da quelli della ragione, che Heidegger stesso in Essere e Tempo definiva come facenti parte della dimensione della “chiacchiera”, quella dimensione in cui il Dasein è gettato, è già situato senza riflessione,  in altre parole senza scelta.


[1] Heidegger und der Mythos der jüdischen Weltverschwörung, tr. it. Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, di C. Caradonna, Bompiani, Milano 2015.

Добавить комментарий