Guido Cusinato: Biosemiotica e Psicopatologia dell’Ordo Amoris. In Dialogo con Max Scheler

Biosemiotica e psicopatologia dell'«ordo amoris». In dialogo con Max Scheler Book Cover Biosemiotica e psicopatologia dell'«ordo amoris». In dialogo con Max Scheler
Filosofia. Etica e filosofia della persona
Guido Cusinato
Franco Angeli
2019
Hardback, € 33.00
292

Reviewed by: Valeria Bizzari (Clinic University of Heidelberg, Heidelberg, Germany)

“… ogni modo d’esser della mia vita e della mia condotta, giusto o sbagliato, o completamente errato, sarà determinato dal fatto dell’esserci o meno di un ordine oggettivamente corretto di questi moti del mio amore e del mio odio, della mia propensione e avversione, del mio interesse multiforme per le cose di questo mondo, nonché dalla possibilità che ho di imprimere questo ‘ordo amoris’ nel mio animo”

(Max Scheler, Ordo amoris, p. 109)

La vita emozionale è da sempre un forte tema di dibattito per la filosofia. A partire dall’antichità fino ad arrivare alla filosofia moderna, le cosiddette “passioni” ed “emozioni” sono state considerate come forze completamente differenti e contrapposte alla razionalità, e i più importanti pensatori, quali Platone, Aristotele, gli Stoici e successivamente Cartesio, furono convinti sostenitori della necessità di una sorta di controllo della sfera sentimentale, affinché essa non disturbasse o compromettesse la razionalità e la vita morale. Nella filosofia contemporanea cade lo stereotipo del conflitto fra ragione e passioni, e viene rivalutata la capacità cognitiva delle emozioni: ne è un esempio l’opera di Nussbaum L’intelligenza delle emozioni, pubblicata nel 2001. Facendo un passo indietro in questa “riabilitazione” della vita emotiva in etica, ebbe indubbiamente un ruolo fondamentale Max Scheler (1874-1928), che, affidandosi al metodo fenomenologico, riuscì a fondare un’etica assiologica che salvaguardasse sia l’oggettività dei valori sia la struttura emotiva della persona. L’utilizzo del metodo fenomenologico permette a Scheler di parlare di intuizione immediata dei valori, e di intuizione immediata della persona.

L’ultimo libro del professor Cusinato sembra appunto riprendere la discussione dal punto in cui l’aveva lasciata Scheler, e inserisce sapientemente i più importanti concetti scheleriani— quali quello di persona intesa come Leib, e quello di ordo amoris—all’interno del dibattito filosofico contemporaneo. Il risultato non è soltanto un’originale proposta di biosemiotica del corpo vivo, ma anche una visione innovativa del sé come relazionale e assiologicamente connotato, al punto che è possibile rileggere il piano delle psicopatologie come “distorsioni” dell’ordo amoris stesso.

  1. Scheler, corpo vivo e ordo amoris

L’ intento principale del volume del professor Cusinato è quello di introdurre una biosemiotica del corpo vivo radicata nella dimensione dell’espressione e il cui ruolo sia fungere da fondamento dell’intercorporeità e della percezione dell’altro. In quest’ottica, la base per l’intersoggettività è costituita da una falda impersonale comune a tutti gli organismi, che sarebbero fin da subito sintonizzati con il piano espressivo della vita, attraverso un’affettività unipatica enattiva. Ogni essere vivente, infatti, possiede la capacità di interagire con il piano dell’espressione, ben prima di sviluppare la cosiddetta “intersoggettività primaria”, ovvero l’abilità innata di relazionarsi agli altri in modo espressivo fin dalla nascita, quando il bambino è in grado di imitare i movimenti altrui. Secondo Cusinato, la percezione dell’alterità sarebbe in realtà mediata da un tipo di percezione rappresentativa dei valori e della condivisione emozionale, e avverrebbe grazie ad un principio di selezione determinato dallo schema corporeo. E’ possibile quindi definire il corpo vivo come un a priori materiale; e il sentire stesso come una facoltà universale legata alla capacità di interagire con il piano dell’espressione.

Scheler, infatti, descriveva il Leib  nei termini di “una datità psicofisica indifferente: nell’intuizione interna si dà come Leibseele (fame/ esser sazi, benessere/ dolore) e in quella esterna come Leibkörper” (M. Scheler, 1999, p. 37). Ne Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, egli definisce la corporeità propria “una particolare datità eidetico- materiale … atta a fungere in ogni percezione di fatto del proprio corpo da forma della percezione” (M. Scheler, 1996, p. 492). Non è possibile, dunque, considerare il corpo proprio una mera datità, un mero oggetto percepibile da un punto di vista esterno o interno, in quanto, secondo Scheler, esiste una “rigorosa ed immediata unità d’identità” (M. Scheler, 1996, p. 494) tra la coscienza interna (la consapevolezza che ciascuno ha di sé e del proprio corpo vivo) e la percezione esterna del corpo fisico, oggettuale.

La percezione del corpo proprio è anteriore a tutte le altre e non riducibile ad esse. Piuttosto, sono le sensazioni organiche a manifestarsi sempre in relazione a un corpo proprio, che va considerato concomitante ad esse, come una sorta di “sfondo”. La struttura motoria del corpo proprio accompagna dunque ogni atto dell’Io, ogni vissuto: “Il corpo proprio … non si manifesta quindi né come il “nostro proprio”, né come “sottomesso al nostro potere”, né come “semplicemente momentaneo”; esso è, o sembra essere, il nostro stesso io e contemporaneamente un qualcosa che compenetra il tempo oggettivo in modo stabile, duraturo, continuo e rispetto a cui la realtà psichica trascorre come un qualcosa di “passeggero” (M. Scheler, 1996, p. 519). Il Leib è quindi qualcosa di irriducibile ad altro ed è essenziale, necessario per la costituzione della persona. Inoltre, grazie al Leib è possibile la natürliche Weltanschauung, ovvero “l’intervento sul modo degli oggetti pratici in funzione delle esigenze di carattere biologico” (M. Scheler, 1996, p. 519): una delle funzioni del Leib è, dunque, anche quella di mediare tra l’Io e il mondo.

Cusinato non solo enfatizza la centralità del corpo vivo all’interno del processo percettivo, ma riserva un ruolo esplicitamente importante ai fenomeni espressivi, che per lui rappresentano un momento essenziale della vita di coscienza dell’individuo, specialmente nella percezione intersoggettiva. In questo modo egli si inserisce all’interno del dibattito contemporaneo: Gallagher e Zahavi, ad esempio, sostengono che gli stati affettivi “sono dati nei fenomeni espressivi, cioè sono espressi nei gesti e nelle azioni corporee e diventano perciò visibili agli altri.” (Gallagher e Zahavi, 2009, p. 277). In quest’ottica, corpo e psiche non sono due unità nettamente distinte e percepibili tramite procedure differenti, bensì costituiscono un’unità espressiva (Ausdruckseinheit). Estendendo la presenza dell’affettività alla sfera biologica, Cusinato si spinge oltre le interpretazioni già presenti, e ci mette di fronte a un’intenzionalità incarnata, pre-riflessiva e finalizzata a cogliere il valore dell’oggetto, e non la sua mera rappresentazione.

Enattività, espressività e affettività divengono quindi le componenti originarie del processo cognitivo, il quale andrà ripensato come un processo di tipo affettivo che lega i vari soggetti tramite un meccanismo di sintonizzazione o risonanza intercorporea presente già a livello biosemiotico. Questo non solo permette di considerare il soggetto come essenzialmente relazionale (ponendosi quindi in contrasto rispetto al “minimal self” descritto da Zahavi, che manterrebbe un nucleo puramente individuale); ma anche di oltrepassare le teorie dominanti all’interno del dibattito attuale, che si trova diviso tra teoria della teoria (secondo la quale l’intersoggettività si riduce a un processo di mentalizzazione); teoria della simulazione (per cui la percezione dell’altro equivale alla simulazione dei suoi vissuti) e teoria della percezione diretta, che, seppur enfatizzando la centralità del corpo e dell’espressività, circoscrive l’intuizione dell’alterità al mero incontro con l’altro. L’introduzione di un livello biosemiotico permette di spostare l’accento sul fatto che ogni essere è immerso sin da subito non solo in un contesto che condiziona e da cui è condizionato, ma anche in una relazione affettiva connotata assiologicamente, a partire dalla quale sarà possibile intraprendere dei rapporti con l’alterità.

I vari livelli di sintonizzazione e posizionamento dell’umano nel mondo sono descritti da Cusinato in modo accurato e chiaro, e ci permettono di capire in che modo tale sintonizzazione unipatica possa dischiudere molteplici possibilità (coerenti con le affordances gibsoniane) per il soggetto che  le vive, o, ancor meglio, sente. In una prima fase il soggetto è l’organismo che, attraverso lo schema corporeo, si sintonizza unipaticamente con gli altri (questo corrisponde, appunto, al livello biosemiotico); ciò permetterà all’organismo di svilupparsi come sè sociale che tramite il senso comune si sintonizza empaticamente con l’alterità; per poi infine farsi singolarità personale e sintonizzarsi solidaristicamente con il mondo grazie all’ordo amoris. Tale concetto viene sviluppato nella seconda parte del libro, in cui Cusinato si interroga non solo sul modo effettivo in cui l’ordo amoris ci permette di conoscere il mondo e l’altro, ma anche sulle possibili conseguenze di una sua distorsione. Il concetto di ordo amoris è, in effetti, uno dei più affascinanti della filosofia scheleriana, e il volume in esame riesce a offrirne un’interpretazione quantomai attuale.

Scheler lo introdusse nel testo inedito Ordo amoris (risalente al 1914-16), testo in cui risulta esplicito l’intento di liberarsi da una concezione dell’emozionale come un insieme di forze cieche (come invece è in uso nella psicologia associazionistica e nel meccanicismo naturale) a favore di una riscoperta dell’essere dell’esperienza in una logique du coeur. Il tema pascaliano è ripreso da Scheler per indicare una logica insita nell’Erlebnis,una logica che non appartiene al pensiero, ma al cuore. Anche la vita ha un’essenza, che non è attribuibile allo psichico, e tale essenza la dirige dall’interno. E’ l’amore che indirizza e struttura i processi psichici, non viceversa. Così, secondo questa logica dell’affettività, ai sentimenti corrisponde un termine assiologico di riferimento (ad esempio, la tristezza può essere legata a un valore spirituale, rappresentato dalla morte, oppure a un valore vitale, rappresentato dall’invecchiamento). Ogni stato emotivo è, al tempo stesso, un fatto reale, in quanto stato, e fenomenologico, poiché posto in una modalità intenzionale verso un oggetto di valore. Compito del fenomenologo è dunque quello di  attribuire finalmente alla vita emotiva l’ordine che sempre le è stato negato, ma che secondo Scheler le appartiene di diritto, poiché è ad essa immanente. Anche ai moti dell’anima appartiene tale ordine, finora ignorato e considerato parte della mera soggettività dell’individuo, irrazionale e perciò subordinato all’azione di dominio dell’intelletto.Il concetto di ordo amoris può avere due significati: uno personale e una sovraindividuale. Per quanto riguarda la prima accezione, essa é relativa alla gerarchia di valori specifica di una determinata persona: ogni persona ha infatti la sua propria gerarchia di valori che la orienta in ogni momento della sua vita, in ogni sua scelta, in ogni suo vissuto. Secondo l’accezione sovraindividuale, invece, l’amore governa il senso di ogni cosa, e, sebbene particolarizzate, le varie individualità dovrebbero tutte rifarsi a questo generale ordine di senso oggettivo: in tal modo avremmo dei retti ordo amoris, delle gerarchie assiologiche personali che rispecchiano quella universale. In caso contrario, potremmo trovarci di fronte a un ordo amoris distorto, deviato, ovvero a gerarchie di valori individuali che sovvertono l’ordo amoris generale e sovraindividuale. Esistono infatti vere e proprie perversioni del retto ordo amoris: un esempio può essere quello dell’amore relativo, chiamato da Scheler “innamoramento”, che si riscontra nell’amore verso un bene finito, che diventa idolo se considerato assoluto. Si ha una perversione dell’ordo amoris anche quando i valori della gerarchia personale di un dato individuo sono inferiori rispetto ai valori dati nel retto ordo amoris. L’ordo amoris, quindi, oltre a essere di carattere descrittivo, ha anche un’accezione implicitamente normativa, poiché, dicendoci l’ordine delle cose e il loro giusto posto, nondimeno richiede che tale ordine venga rispettato, ed è correttivo nei confronti di eventuali distorsioni. Nella nostra persona, quindi, è come se convergessero due modi di essere: uno, particolare, del qui-ora dell’esserci, sottoposto, appunto, alle variazioni spazio-temporali; e l’altro che trascende tale modalità, e riguarda invece ciò che di assolutamente eidetico e strutturale esiste, ovvero un ordine metastorico ed onnipresente, comunque capace di assumere diverse forme, cercando di portare il giusto ordine anche sotto forma di un sistema storicizzato. Contingente e assoluto si incontrano, determinando il divenire storico, in un movimento di reciprocità e apertura che vede i due momenti congiungersi fino  a formare un’ unità di senso. Oltre alla conoscenza, l’amore risveglia anche il volere di realizzazione da parte di un soggetto: è per questo che Scheler afferma, a ragione, che l’uomo, prima di essere un ens volens e un ens cogitans, è un ens amans. Scheler, infatti, definisce l’amore come “ la tendenza o-a seconda dei casi – l’atto che cerca di condurre ogni cosa verso la sua propria pienezza di valore, e conduce là, purchè non si frappongano impedimenti”[1].  L’ordo amoris stabilisce così per ogni uomo la sua facoltà di comprendere, la struttura e il contenuto della sua visione del mondo, sempre implicitamente proiettato alla conoscenza dell’essenza divina: ordo amoris particolare e ordo amoris universale trovano dunque una continuità di senso.

In che modo quindi Cusinato inserisce l’ordo amoris all’interno della sua prospettiva biosemiotica?

Possiamo sostenere che l’ordo amoris rappresenti la capacità di percepire il valore attraverso il sentire, e sia quindi implicito nella capacità di interagire a livello unipatico con il piano espressivo della vita. La conseguenza di tale caratterizzazione è molto forte, e l’ultima parte del libro dedica un ampio spazio ad una riflessione a proposito della compromissione di tale facoltà, definita in termini di vera e propria psicopatologia. Secondo Cusinato—e a mio avviso, questa è la tesi più forte  e innovativa dell’intero volume—la patologia psichica subentra appunto nel momento in cui l’ ordo amoris non riesce più a sintonizzarsi con il piano espressivo della vita e dell’alterità. Se la percezione dell’altro è già implicita a livello biosemiotico e dipende da una corretta sintonizzazione affettiva, un disturbo dell’affettività comporterà un errato sviluppo del soggetto stesso, il quale non sarà capace di passare dallo stato di organismo a quello di sè sociale e personalità individuale.

  1. Il case study: la schizofrenia come disordine dell’ordo amoris

Si può osservare la concretezza della tesi di Cusinato analizzando una psicopatologia in particolare: la schizofrenia. Nonostante, infatti, l’autore porti svariati esempi, credo che la schizofrenia sia il più calzante per descrivere la centralità dell’ordo amoris e cosa comporti la  sua perdita o distorsione.

Già Minkowski, nel testo La Schizophrénie, risalente al 1927, sosteneva l’impossibilità di comprendere tale malattia senza avere ben presente la struttura della soggettività: l’essenza della schizofrenia consisterebbe, in particolare, nell’incapacità di rapportarsi al mondo e di stabilire legami significativi con altri individui. Nonostante i disturbi psichici colpiscano principalmente tre sfere- l’autocoscienza, l’intenzionalità e l’intersoggettività- è proprio quest’ultima, infatti, ad essere maggiormente colpita. Il contatto con la realtà, inoltre, non viene perso solo da un punto di vista sociale, poiché ad andare smarrita è la stessa prospettiva in prima persona. Il sé e l’altro, infatti, non sono più mutualmente interrelati, ma divergono fino a divenire due realtà completamente separate. La soggettività esperisce così un senso di perdita dei propri confini, in concomitanza ad allucinazioni uditive e impossibilità di controllo delle proprie azioni: in un certo senso, sembrerebbe andato perso lo “schema corporeo” merleau-pontiano.

Le sfere coinvolte in tale processo di “de-sintonizzazione” con il mondo sono, nello specifico, le seguenti:

  • Capacità cognitive: il distacco dal reale e dalla dimensione soggettiva corporea comporta la perdita dei nessi significativi e la depersonalizzazione della coscienza, che cerca, attraverso l’iper-riflessività, di attribuire al mondo una nuova struttura organizzativa. Questo implica un’ipertolleranza alla complessità semantica: non comprendendo i significati impliciti nel senso comune, lo schizofrenico è portato ad attribuire infinite interpretazioni significative a oggetti in realtà molto semplici, espandendo in senso esponenziale gli orizzonti epistemologici;
  • Vita emotiva: il soggetto ha difficoltà nel sentire e spesso si dichiara incapace di farlo. Di conseguenza, anche le abilità nelle relazioni sociali diminuiscono notevolmente. Inoltre, tutto ciò che concerne l’alterità può spaventare il soggetto, che si dichiara incapace di affrontare il mondo sociale e teme di rimanerne “intrappolato” (tale fenomeno si può definire come vulnerabilità eteronomica);
  • Ontologia: se la consapevolezza corporea e il senso comune vengono persi, anche il sé risulta completamente distorto. Per questo motivo, spesso i pazienti sostengono non solo di sentirsi isolati dal resto del mondo, ma anche di essere letteralmente frammentati, di non essere, cioè, individui interi;
  • Etica: perdendo la consapevolezza di sé e il senso comune, lo schizofrenico assume molto spesso atteggiamenti bizzarri e, talvolta, al di là di ogni etica vigente, come se la sua personale assiologia divergesse completamente dalle norme del mondo sociale in cui vive. Tale eccentricità può sfociare in una vera e propria “ribellione” consapevole nei confronti dei valori comunemente adottati dalla società (antagonomia).

Il risultato è un totale distacco dal reale: “The […] schizophrenics” sostiene Bleuer, “who have no more contact with the outside world live in a world of their own. They have encased themselves with their desires and wishes […]; they have cut themselves off as much as possible from any contact with the external world. This detachment from reality with the relative and absolute predominance of the inner life, we term autism” (E. Bleuer, 1978, p. 30). Ciò che Bleuer non sembra enfatizzare a sufficienza, ma che nell’ultima parte del volume di Cusinato viene descritto, con l’ausilio di testi significativi, tra cui Autobiography of a Schizophrenic Girl (Sechehay, 1962), è la natura drammatica di un simile distacco, che coinvolge non solo la relazione tra il soggetto e l’alterità, ma dal quale sembrerebbe dipendere la stessa comprensione della realtà in generale. Il soggetto, il cui sé è frammentato e che non riesce a stabilire una relazione intersoggettiva, non riesce neppure ad “immergersi” nel mondo.

Tale perdita della conoscenza pre-riflessiva, così come la perdita del senso di sé, ha conseguenze a livello sensoriale, per quanto riguarda la percezione mondana e intersoggettiva; in ambito concettuale, laddove è possibile registrare fraintendimenti e incomprensioni di significati e intenzioni; e nella realtà attitudinale, che concerne la struttura assiologica individuale. Un’analisi fenomenologica si rivela utile al fine fornire una descrizione esauriente e una spiegazione olistica: in tal senso, la perdita del sé corporeo, associata alla distorsione della struttura assiologica del soggetto, sembra essere la caratteristica più significativa della schizofrenia. Tutte le sfere coinvolte dalla de-personalizzazione schizofrenica hanno infatti in comune una distorsione dell’ordo amoris, il cui ruolo è talmente importante che tutti i sintomi possono essere ricondotti a strategie compensatorie volte a ricostituire una struttura assiologica personale (seppur opposta a quella vigente nel senso comune, come è esplicito nel caso dell’antagonimia).

  1. Conclusione

Un’analisi accurata del concetto di ordo amoris ci permette di dedurre che tutta la nostra vita è rigorosamente guidata da un ordine, che nulla è dato al caso: anche la nostra emotività ha leggi specifiche e rigorose. C’è una legalità immanente agli atti d’amore, dovuta alle regole del preferire e del posporre, per cui l’animo umano non è più considerato un luogo di caos, ma un microcosmo del mondo dei valori. E’ quindi appropriato dire che il cuore ha le sue ragioni. Ovviamente non bisogna confondere questo tipo di razionalità con quella intellettuale: emozionale e razionale sono due ambiti completamente diversi, non riconducibili l’uno all’altro. Tuttavia, attribuire una logica soltanto alla sfera del giudizio intellettuale è sbagliato, in quanto il lato emotivo dell’uomo ha un funzionamento analogo a quello razionale e ugualmente fallibile. Dire che il cuore ha le sue ragioni ha un significato molto preciso: l’emozionale ha delle ragioni poiché possiede vedute evidenti di dati non accessibili all’intelletto, e sue proprio perché all’intelletto questo tipo di dati è precluso, e solo grazie all’atto d’amore siamo indirizzati a questo tipo di conoscenza. La logica del cuore è oggettiva, proprio come lo è la logica deduttiva, ed è dotata di una legalità autonoma e specifica. Tale legalità si esprime in modo diverso in ognuno di noi, ma essenzialmente rimane costante. La ripresa del concetto di ordo amoris da parte del professor Cusinato ha non solo il merito di riabilitare una nozione forse troppo sottovalutata nella storia della filosofia delle emozioni, ma anche quella di introdurla in un ambito apparentemente lontano dalla speculazione meramente filosofica: la psicopatologia. Ripensare il disordine mentale come un disordine dell’ordo amoris permette inoltre di interpretare la malattia mentale in termini non riduzionistici, senza tuttavia omettere l’importanza degli aspetti organici della coscienza, grazie all’introduzione del livello biosemiotico.

Bibliografia essenziale

Bleuler, Eugen. 1978. The Schizophrenic Disorders: Long Term Patient and Family Studies. Yale University Press, New Haven, CT.

Minkowski, Eugène. 1927. La schizophrénie: psychopathologie des schizoides et des schizophrènes. Payot, Paris.

Nussbaum, Martha. 2001. Upheavels of Thought: The Intelligence of Emotions. Cambridge University Press, Cambridge.

Scheler, Max. 1916. Der Formalismus in der Ethic und die materiale Werthethik, in “Jarbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung”, trad. it. 1996 Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano.

Scheler, Max. 1999. Il valore della vita emotiva. Guerini Studio editore, Milano.

Scheler, Max. 2008. Ordo amoris in Scritti sulla fenomenologia e l’amore, (a cura di Vittorio d’Anna), Franco Angeli Editore, Milano 2008, tr.it. F. Bosinelli e V. d’Anna.

Sechehaye, Marguerite. 1962. Autobiography of a Schizophrenic Girl. Penguin, New York.


[1] Max Scheler, Ordo amoris, p. 118.

Pubblicato da

Valeria Bizzari

Language Editor for Italian

Lascia un commento