Edward Baring: Converts to the Real: Catholicism and the Making of Continental Philosophy

Converts to the Real: Catholicism and the Making of Continental Philosophy Couverture du livre Converts to the Real: Catholicism and the Making of Continental Philosophy
Edward Baring
Harvard University Press
2019
Paperback
504

Reviewed by: Francesco Valerio Tommasi (Sapienza, Università di Roma)

Lo scopo di questo volume è di mostrare il ruolo nascosto giocato dal cattolicesimo nel successo e nella diffusione della fenomenologia. Le connessioni e i rapporti tra la corrente di pensiero inaugurata da Edmund Husserl e i pensatori e le istituzioni cattoliche del Novecento, infatti, sono molteplici e di diversi livelli. Si pensi a Martin Heidegger e ai suoi studi di filosofia medievale e di teologia, o a Edith Stein, protagonista di un percorso per certi aspetti speculare: il primo procede infatti dal cattolicesimo ad una fenomenologia metodologicamente atea – per cui l’espressione “filosofia cristiana” è notoriamente un “ferro ligneo”; la seconda muove invece dalla fenomenologia – orgogliosamente atea – al cattolicesimo. Ma si pensi anche, ovviamente, a Max Scheler, che contemporaneamente alle riflessioni sulla fenomenologia sviluppa le sue prospettive religiose, gravitanti attorno alla chiesa cattolica, di cui si fa promotore e da cui poi si allontana. Oppure, per risalire sino alle origini e alla preistoria della fenomenologia, si pensi a Franz Brentano, sacerdote e studioso di Tommaso d’Aquino, oltre che ispiratore e maestro di Edmund Husserl. Ma si pensi anche a Karol Wojtyła, formatosi allo studio di Max Scheler e su cui giocò un’influenza rilevante anche il pensiero di Roman Ingarden.

Il rapporto prevalente che la fenomenologia instaurò fu quello con la cosiddetta Neoscolastica, ossia con la corrente filosofica e teologica volta al recupero e alla riattualizzazione del pensiero medievale ed in particolare del tomismo, sostenuta con energia dalla chiesa cattolica nel corso del ventesimo secolo e rilanciata in particolare dall’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879). La vicinanza tra le due correnti può apparire a prima vista sorprendente: la fenomenologia infatti si presenta come un pensiero privo di riferimenti storici, rifiuta qualsiasi tipo di presupposto extra-razionale ed è costitutivamente contraria alla metafisica, tanto che “metafisico” e “fenomenologico” vengono talora ad essere aggettivi usati in modo antitetico; la Neoscolastica, all’opposto, trova appunto nel pensiero medievale un riferimento privilegiato, è orientata al dialogo con la teologia e con la fede rivelata, e sostiene una ripresa della metafisica.

A ben vedere, però, un orientamento marcatamente teoretico caratterizza anche la Neoscolastica, che si rivolge al passato medievale come ad una presunta “età dell’oro”, la cui validità teorica andrebbe riproposta con energia contro le derive e la crisi della modernità. Su questo piano dunque – ossia sul piano di un interesse speculativo scevro da pregiudizi – va compresa la possibilità di un primo, generico, punto di incontro. Un secondo, già più specifico, punto di contatto va rinvenuto nell’istanza fondativa con cui entrambe le correnti impostano il loro procedere, così che la fenomenologia, per quanto anti-metafisica, si presenta come una “scienza rigorosa” e come una “filosofia prima”. Ma il terzo e più preciso punto di incontro che ha condotto alla possibilità di dialogo tra queste due correnti va sicuramente individuato nell’approccio inaugurato da Husserl con le Logische Untersuchungen (1900-01): in quest’opera, infatti, si difende un‘impostazione che può essere compresa – ed è stato compresa effettivamente dai primi discepoli di Husserl – come realista. Husserl infatti propone una forte critica allo psicologismo, e molti allievi considereranno una svolta indebita da parte di Husserl l’impostazione idealista delle successive Ideen I (1913). Per la Neoscolastica era proprio lo psicologismo – e più in generale il soggettivismo – uno dei maggiori errori del pensiero moderno in generale, a partire da Cartesio e da Kant. La Neoscolastica proponeva quindi un ritorno al realismo metafisico che aveva caratterizzato l’epoca medievale. Così, il ritorno “alle cose stesse” propugnato da Husserl poteva certamente attrarre l’attenzione dei pensatori neoscolastici. La stessa fenomenologia, non a caso, venne accusata di essere una forma di “nuova Scolastica”. Proprio al realismo e alla necessità di “convertirsi” ad esso fa dunque riferimento il titolo del volume di Baring, che finalmente mette a tema questa importante relazione intellettuale tra due movimenti di pensiero protagonisti del secolo scorso.

Oltre alle figure più prominenti già menzionate in apertura, molti altri nomi sono emblematici del rapporto tra fenomenologia e cattolicesimo: Dietrich von Hildebrand, per esempio, altro giovane fenomenologo che conobbe la conversione al cattolicesimo in età adulta. Oppure Erich Przywara, che con curiosità di avvicinò allo studio del pensiero husserliano a partire da posizioni neoscolastiche. E poi, nelle generazioni successive di pensatori, si pensi all’importanza, per la diffusione della fenomenologia, di figure come Alphonse de Waelhens (Belgio), Sofia Vanni Rovighi (Italia), Joaquìn Xirau (Mesicco) o Herman Boelaars (Olanda). Fu un sacerdote cattolico, inoltre, Hermann Leo Van Breda, a porre in salvo i manoscritti husserliani e a fondare l’Archivio dedicato al padre della fenomenologia. E la diffusione attuale della fenomenologia in Francia – forse l’ultimo avamposto della corrente husserliana – è dovuta in buona misura a pensatori dichiaratamente ed esplicitamente cattolici, come Michel Henry o Jean-Luc Marion, ma anche Jean Greisch, Philippe Capelle-Dumont ed Emmanuel Falque: tanto che si è parlato, famigeratamente, di un “tournant théologique” della fenomenologia francese.

Mettere in luce questi rapporti rappresenta la mera esposizione di un fatto storico incontrovertibile. Tuttavia, a partire da ciò, prudentemente l’Autore non intende sostenere la tesi di un carattere cripticamente cattolico della fenomenologia – in quello che rappresenterebbe una sorta di ribaltamento della tesi di Janicaud sul “tournant théologique”. Infatti, egli scrive:

“By claiming that Catholics played an outsized role in the reception of phenomenology […], even in its atheistic versions, I don’t mean to argue that phenomenology is essentially Christian, and that the secular thinkers who have developed its claims in important and interesting ways were crypto-Catholics, blind to the true nature of their thought. First, the Catholic readings of phenomenology were in many ways expropriations. Husserl gave little encouragement to those who hoped to bend his philosophy to fit a Catholic agenda. Second, as we shall see, phenomenology’s compatibility with Catholicism was by no means assured, and it was the difficulty of aligning it with neo- scholasticism that made phenomenology attractive to other religious thinkers and, later, atheists. Finally, and most fundamentally, it is not clear on what basis one could declare phenomenology Christian or Catholic, because the concept of a ‘Christian philosophy’ is notoriously difficult to define. At almost precisely the moment when Catholics were shuttling phenomenological ideas around the continent, many of the same thinkers were also engaged in a Europe-wide debate about whether ‘Christian philosophy’ had any meaning at all” (11-12).

Il volume quindi procede prevalentemente su un terreno più solido e sicuro, che è il terreno storico. Tuttavia, con un’osservazione che può essere definita di “ispirazione” fenomenologica si deve rilevare come, evidentemente, non esistano “fatti” storici da poter cogliere in modo positivisticamente ingenuo e scevri da ogni carattere interpretativo. La buona “intenzionalità” dell’Autore, quindi, si perde almeno in parte nel corso del volume. Valutiamo come.

Nella prima parte vengono analizzati i rapporti di Husserl, Heidegger e Scheler con il cattolicesimo e la Neoscolastica, in quattro capitoli dedicati rispettivamente al rapporto, in senso generico, tra le due correnti di pensiero, e poi a ciascuna delle tre figure. La seconda parte si dedica a descrivere alcune influenze rilevanti che queste figure cardine giocarono sui rapporti con il cattolicesimo di alcuni pensatori al di fuori della Germania: nello specifico si analizzano sia figure quali Nicolai Berdyaev, Gabriel Marcel e Augusto Guzzo (definiti “esistenzialisti cristiani”); sia la corrente del tomismo qui denominato “cartesiano” – e definibile in senso più lato “trascendentale” – ossia Joseph Maréchal, Karl Rahner, ma anche Giuseppe Zamboni (nel meritorio ed informato ricordo di un dibattito molto interessante all’Università Cattolica di Milano); sia la ricezione teologica di Kierkegaard (soprattutto nella teologia dialettica); sia quella di Nietzsche nei fascismi, ed il loro controverso rapporto con il cattolicesimo impegnato socialmente e politicamente. La terza parte, infine, si dedica alla storia dell’Archivio Husserl e poi – ampliando la prospettiva al di là dei confini del cattolicesimo – prende in esame le vicende di Paul Ricoeur e di Maurice Merleau-Ponty.

Proprio questo allargamento finale di prospettiva – così come, più in generale, la vastità di questioni, correnti ed autori presi in considerazione – mostra forse quella che è una prima difficoltà del volume, ossia la tesi per cui il ruolo del cattolicesimo, nella vicenda fenomenologica, viene forse in alcuni tratti sovrainterpretato. Rispetto a Ricoeur o a Merleau-Ponty, infatti, non sembra che il rapporto con l’ambito di pensiero Neoscolastico o con la storia del cattolicesimo abbia avuto un’influenza così decisiva. Ma, a ben vedere, ciò non vale solo per questo capitolo. La tesi dell’Autore pare, a giudizio di chi scrive, dover essere ridimensionata in senso complessivo.

In ciascun passaggio, forse, Baring dona troppa enfasi al ruolo del cattolicesimo, come si può evincere in questo passaggio in cui egli riassume la sua prospettiva generale e che il lettore potrà valutare analiticamente:

“I argue that the neo-scholastic reading provided the impetus and stakes for the realism/ idealism debate that engulfed Husserl’s students in the 1910s and 1920s (Chapter 2); I suggest that Catholic debates lend context to the development of an existential version of phenomenology, both in Heidegger’s work (Chapter 3) and elsewhere in Europe in the 1930s (Chapters 5, 6, and 7); I show how the conflicts between religious thinkers furnished the means for non-Catholics to craft atheistic versions of phenomenology and existentialism (Chapters 7, 8, and 10); and I explain how Catholic readings helped imprint phenomenology with political meaning both in Germany in the 1920s (Chapter 4) and outside of Germany in the 1930s (Chapter 8), in a way that foreshadowed and shaped the emergence of existential Marxism in the 1940s (Chapter 10). The Catholic reception of phenomenology was a subterranean but massive structure, linking many of the most important developments in the history of twentieth-century philosophy. It could play this role because, before existentialism and before phenomenology, the first continental philosophy of the twentieth century was Catholic.” (20).

Su ciascun aspetto, si potrebbero mettere in luce anche dibattiti e contributi non solo di provenienza cattolica: il dibattito tra idealismo e realismo coinvolge tutti gli allievi gottinghesi di Husserl e il rapporto con i monachesi, ben al di là dei confini confessionali; l’esistenzialismo – categoria peraltro difficilmente applicabile al pensiero di Martin Heidegger – conosce uno sviluppo non solo marcato da influenze cattoliche, così come un esistenzialismo marxista ha una traiettoria anche completamente indipendente da matrici confessionali etc…

Le ultime righe del brano appena citato, poi, chiamano in causa una seconda difficoltà che ci sembra mostrare il volume di Baring, ossia una certa tendenza a sovrapporre troppo velocemente categorie ed etichette storiografiche: cattolicesimo e Neoscolastica, ad esempio, non sono sinonimi, così come evidentemente non coincidono nemmeno con l’idea della “filosofia cristiana”. L’Autore ne è consapevole, come abbiamo visto e sottolineato anche con una citazione esplicita, in precedenza; ma allora il rapporto della fenomenologia con il cattolicesimo in senso generale appare chiamare in causa figure e contesti anche molto (troppo?) diversi tra loro. Sull’altro versante, poi, l’equiparazione della fenomenologia con la “filosofia continentale” appare ancora più forzata. Se è vero che l’ermeneutica o l’esistenzialismo derivano o non possono prescindere dalla fenomenologia, il marxismo, il neokantismo, il neoidealismo, lo spiritualismo e il personalismo sono tutte correnti “continentali” che – sia pur entrate in qualche rapporto con la fenomenologia – hanno avuto origini e sviluppi da essa indipendenti e autonomi. Se negli ultimi decenni quindi la filosofia continentale è stata in larga misura almeno di ispirazione fenomenologica, evidentemente non sempre è stato così nel corso del Novecento e le due categorie non sono sovrapponibili.

Ciò che sta a cuore all’Autore, d’altronde, emerge nell’Epilogo, in cui egli afferma – forse con eccesso di enfasi:

“Continental philosophy today is haunted by religion. Whether they consider religion as something that needs to be exorcised, conjured up, or—and this is where my sympathies lie—mined as an intellectual resource, philosophers across Europe have returned insistently to religious themes and questions” (343).

Anche in questo caso, si sostiene un giudizio dalla portata molto vasta – e per farlo ci si deve riferire al pensiero “religioso” in senso generale; per poi concludere invece rivolgendosi nello specifico al Tomismo e affermando:

“Thomism is not the power house it once was. Still taught in Catholic universities and seminaries around the world, it rarely enjoys philosophical attention outside the Church. Yet when assessing its influence, we should not restrict our attention to those few who continue to bear its name. Whether passed on as a positive inheritance, or persisting as a negative imprint on other forms of philosophy, neo-scholasticism’s greatest legacy is the international debate between non- Catholic philosophers over phenomenology. And though this would be cold comfort to a Mercier, a Gemelli, a Przywara, or a Maritain, Thomism continues to deserve the title philosophia perennis, thanks to its contradictory afterlives in secular thought.” (349).

Queste osservazioni critiche, comunque, nulla tolgono al valore di un volume che molto meritoriamente evidenzia finalmente in modo diffuso e analitico, e con una erudizione sorprendente, un rapporto macroscopico e sinora sorprendentemente sottaciuto. Così come nulla tolgono alla precisione del testo alcuni piccoli errori o refusi (chi scrive questa recensione, ad esempio, viene talora confuso con Roberto Tommasi). Impostare il rapporto in modo più stringente sul rapporto tra Neoscolastica e fenomenologia – piuttosto che tra cattolicesimo e pensiero continentale – avrebbe forse potuto essere una scelta più efficace, ma il lavoro di Baring resta in ogni caso decisivo per comprendere una vicenda rilevantissima della storia della filosofia del Novecento e dunque anche – “Herkunft bleibt stets Zukunft – i suoi sviluppi futuri.

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