Francesca De Vecchi: La Società in persona: Ontologie sociali qualitative

La società in persona. Ontologia sociale qualitativa Book Cover La società in persona. Ontologia sociale qualitativa
Studi e ricerche
Francesca De Vecchi
Il Mulino
2022
Paperback
272

Reviewed by: Federico Leon Scimone (Università degli Studi di Milano)

La società in persona, una nuova prospettiva fenomenologica al problema delle ontologie sociali

La società in persona, Ontologie sociali di Francesca De Vecchi si inserisce nel panorama contemporaneo del problema dell’essere sociale in controtendenza alle ricerche di matrice analitica, come quelle che seguono dagli studi, ad esempio, di Searle[1] e Gilbert[2]. In particolare viene sottolineata la lacuna qualitativa che segue dalla separazione fra naturale e sociale che caratterizza le tematizzazioni americane. Quest’opera ha un fine ben definito, ovvero restituire dignità ontologica agli enti sociali e far emergere come in essi si trovi il fondamento per un’assiologia della buona vita delle cose, in particolare sociali. De Vecchi muove prevalentemente dalle ricerche fenomenologiche di Husserl e Scheler, mostrando come l’approccio fenomenologico allo studio delle ontologie sociali si definisca come il più appropriato, giacché la fenomenologia altro non è che un’ontologia sociale qualitativa.

L’opera si divide in quattro capitoli che ne scandiscono le argomentazioni principali in ordine teoretico. In prima battuta De Vecchi delinea per sommi capi che cosa si intenda per ontologia qualitativa e quale siano le definizione e gli intenti più comuni di tale disciplina, in riferimento alle ricerche di matrice analitica; nel tratteggiare tale immagine viene a delimitarsi una lacuna entro la quale ricadono valori e sensi d’essere delle cose, ovvero ogni sfumatura qualitativa del mondo in cui ci troviamo ad esistere e da qui muove la ricerca del testo, con lo scopo di ridare fondamento al senso d’essere delle cose. In particolare, la presentazione analitica del tema trancia di netto tutto ciò che non può essere definito come oggettivamente fondato, dove oggettivamente ha quasi il medesimo significato di fondato secondo le leggi della fisica. De Vecchi mostra come il mondo descritto dall’ontologia sociale sia privato di ogni senso d’essere, in virtù del fatto che tutto ciò che non è “oggettivo” non ha dignità ontologica; tale argomentazione trova il suo fondamento nella separazione fra mondo naturale e mondo sociale. De Vecchi riprendendo Husserl sottolinea come così facendo il mondo risulti spogliato di ogni sua caratteristica qualitativa e mostra come le cose non possano essere nemmeno intese come “fatti bruti” senza quelle parti che vengono escluse, ad esempio da Searle, dall’indagine ontologica.

Così viene proposta una nuova via per affrontare il tema, una via che muova dalla descrizione in prima persona dei fenomeni e del modo in cui questi ci si presentano, ovvero un’ontologia sociale qualitativa, che permetta di rendere conto del mondo per come quotidianamente ne facciamo esperienza. In seconda battuta De Vecchi tratteggia le caratteristiche di tale ontologia sociale qualitativa, ponendo l’accento sul ruolo dell’eidetica fenomenologica dalla quale emergono i sensi d’essere delle cose, le essenze ed i vincoli che definiscono le cose ad un tempo per ciò che sono e per come sono in relazione al tipo di cosa a cui appartengono. Riprendendo l’esempio proposto da De Vecchi, nel momento in cui ci troviamo innanzi ad una sedia, noi ne riconosciamo la sedibilità, ovvero ciò che la determina come tale. Nel riconoscere il suo essere sedia possiamo capire se si tratta di una buona sedia oppure di una sedia scomoda ad esempio. Assumendo che una sedia ha nella sua essenza la possibilità del sedervisi, se questo dovesse risultare difficile o scomodo noi potremmo dire che essa non è una buona sedia, così come potremmo riconoscerla come una buona sedia se il sedersi dovesse risultare confortevole. Allo stesso modo se fossimo innanzi ad una società potremmo capire se essa sia una buona società oppure no in relazione a quell’idea di società che essa stessa presenta. Ad esempio potremmo individuare un buon rapporto fra i cittadini come qualcosa di positivo ed un necessità “del farsi giustizia da sé” come qualcosa di negativo. In questo processo vengono preaccennati i nuclei tematici degli interi e delle parti e, in particolare, degli interi sociali che saranno poi fondamentali per poter comprendere come si possa definire una buona vita della società. In questo passaggio De Vecchi mostra come ogni cosa nel darsi presenta la sua essenza con tutte quelle sfumature qualitative che la definiscono; così le cose ci mostrano i loro vincoli assiologico-normativi.

Definita l’origine dei sensi d’essere delle cose, il terzo tema è quello del vivere personalmente, del vivere come soggetto con altri nel mondo e nella società, per mostrare come la ricerca ontologica sociale fenomenologica si interroghi sul tema della società e della persona, a partire proprio da quelle essenze emergenti che si caratterizzano ad un tempo come soggettive ed oggettive, giacché, seppure esperite in prima persona, rimandano all’idea generale che trascende l’esperienza quotidiana, definendola e definendo le condizioni di identità, i modi d’essere, d prosperare o declinare delle cose esperite: insomma, la loro “vita”, più o meno buona..

Le argomentazioni di De Vecchi trovano poi la loro conclusione approdando alla relazione fra individuo come parte e individuo come soggetto sociale al quale appartiene; viene così chiarito come fra persona e società vi sia una relazione bilaterale di reciproca determinazione, condizione che permette l’apertura al tema etico, giacché mostra un parametro assiologico oggettivo ed esperito che, pur essendo a priori, affonda nella materialità dell’esperienza, aprendo alla ricerca sulla buona vita di una società.

Esegesi dei nuclei tematici principali

La società in persona si colloca all’interno del dibattito delle ontologie sociali richiamando il confronto fra le teorie a stampo fenomenologico, in particolar modo di Husserl e Scheler, e quelle a stampo analitico, in particolar modo richiamandosi alle tesi sostenute da Searle e Gilbert. La ricerca di De Vecchi tenta di riconsegnare all’ontologia sociale la sua potenza totale, tentando di sanare il vuoto creato dalla separazione fra sociale e naturale; facendo un passo indietro nella ricerca ontologica infatti è possibile notare come questo iato non sussista, almeno nei termini in cui viene descritto dalla tradizione analitica. L’argomentazione di De Vecchi ci viene presentata come un’ontologia sociale esistenziale, che trova il suo fondamento nel nostro essere, nel nostro vivere e nel nostro agire come soggetti personali immersi in un mondo con altri. In apertura al testo ci viene proposto il tentativo di trovare il fondamento per un’ontologia della persona come persona in relazione, come persona sociale. Tema fondante delle argomentazioni di De Vecchi è il riferimento al vissuto, al visto, all’esistere sempre come persone in un mondo che è ad un tempo mondo sociale e personale, di cui facciamo esperienza quotidianamente e nel quale agiamo e viviamo sempre già in relazione con altri. In questo mondo ci troviamo in relazione con cose che hanno una caratterizzazione qualitativa della quale facciamo esperienza in prima persona, cose, enti ed oggetti che individuiamo come tali per le loro qualità di valore, sia esso positivo o negativo. Le cose del mondo, argomenta De Vecchi, sono tutte ricche di qualità di valore che appartengono al loro stesso essere (…) e noi cogliamo questo essere essenzialmente qualitativo delle cose quotidianamente, nell’atteggiamento naturale, spontaneo che abbiamo nei confronti di esse.[3] Già dalle prime pagine del testo emerge il ruolo cruciale dell’esperienza quotidiana ed il suo essere qualitativa; questa si mostra fondante per l’essenza delle cose stesse, o per meglio dire ne trasmette l’idea e con essa la forma normativa. Dall’esperienza nel vissuto delle cose infatti traiamo quella che può essere intesa come una regola od un parametro per poter comprendere se e come tale cosa possa avere una buona vita. L’esperienza del fenomeno della cosa richiama alle sue strutture interne, alla sua forma ed al suo essere, tanto da permetterci di comprende se ciò che stiamo percependo, sentendo o vedendo sia una buona manifestazione di quell’idea stessa che tale fenomeno manifestandosi mostra. L’esperienza porta sempre con sé una qualità di valore che ad un tempo individua e permette di individuare una cosa per ciò che è. Nel presentarsi a noi ognuna di queste cose per essere la cosa che è deve realizzare a suo modo (…) le qualità di valore che le sono essenziali: solo se soddisfano questa condizione le cose sono buoni esemplari del loro tipo.[4] Così facendo De Vecchi propone un nuovo modo di intendere l’ontologia sociale partendo da un correlazionismo che trova come poli il soggetto come persona o come insieme sociale vivente e vissuto che sceglie e percepisce in relazione ad oggetti che si danno sempre come qualificati, come di valore, come emotivamente caratterizzati già in prima esperienza e che, così nascendo, prendono parte a quel flusso intenzionale in cui si genera il motivazionale; in particolare le cose di cui facciamo esperienza si danno già sempre in una relazione personale che le determina e che ad un tempo determina loro ed il mondo nel quale si trovano ed in cui ci troviamo a fare esperienza nell’esistere.[5]

De Vecchi procede creando un terreno comune con il lettore, andando a costruire un lessico in cui la terminologia dell’ontologia sociale di stampo analitico viene revisionata, restituendo alle parole il loro significato in senso pieno e profondo. Come già preaccennato De Vecchi riconosce il limite della separazione fra sociale e naturale dell’ontologia sociale, limite che riproduce una sorta di dualismo cartesiano tra natura e mente. Così l’argomentazione procede riconsegnando al reale il suo senso d’esistenza procedendo in una ricostruzione del significato delle parole. De Vecchi costruisce un terreno comune con il lettore partendo dalla prospettiva di stampo analitico dell’ontologia sociale costruendo via via l’immagine di quella che propone come ontologia sociale qualitativa. Inizialmente riprende le tesi di Searle e Gilbert, i quali propongono una contrapposizione fra mondo sociale e mondo naturale; in particolare l’ontologia di matrice analitica definisce il mondo sociale come non naturale per definizione sostenendo che i fatti sociali sono creati e mantenuti dall’intenzionalità collettiva, al contrario dei fatti naturali la cui esistenza è indipendente. A questo punto De Vecchi prende in esame il concetto di esistenza che soggiace a questa definizione di partenza mostrandone la sua insufficienza; infatti la teoria analitica non prende in considerazione che qualunque fatto può essere oggetto intenzionale, che esso sia naturale o sociale. Così facendo muove verso la definizione di un gradualismo che non considera più i fatti sociali come contrapposti a quelli naturali, ma che li intende come di differente gradazione. La tesi gradualista di De Vecchi si struttura in relazione alla differente dipendenza esistenziale dei fatti, dipendenza che può essere intesa come differenti sensi ed in modo articolato e dinamico, a differenza di come proposta nell’ontologia sociale analitica.[6]

Ora, dove l’ontologia sociale propone una contrapposizione netta fra fatti naturali e fatti sociali, l’ontologia sociale qualitativa di De Vecchi, per quanto concordi nella differente origine dei due tipi di fatti, li vincola entrambi all’intenzionalità nel loro mantenimento e nelle loro modificazioni d’essere. Il ruolo dell’intenzionalità e della gradualità d’esistenza è cruciale per comprendere questo passaggio argomentativo. Searle descrive l’esistenza dei fatti naturali come oggettiva in virtù del loro darsi come fatti fisici; così facendo su questa definizione esclude poi ogni possibile descrizione qualitativa in quanto di natura soggettiva. Pur non togliendo ai fatti sociali la possibilità di essere epistemicamente oggettivi, Searle li lega al soggetto ed all’intersoggettività condivisa, che di per sé non sarebbe un problema se non fosse che in questo legame identifica la loro accidentalità, levandogli in conseguenza ogni dignità ontologica. De Vecchi sottolinea qui che sia proprio l’essere qualitativo ad essere cruciale per l’esistenza delle cose stesse, giacché le qualità di valore sono ciò che individua il senso specifico delle cose; sottolinea inoltre che proprio tali qualità permettano alla cosa di essere un buono o un cattivo esemplare del tipo di cosa a cui essa stessa appartiene. Riprendendo l’idea accennata in precedenza per cui la cosa stessa porti con sé l’idea di sé, da cui è possibile ad un tempo riconoscerla e riconoscere in che modo essa appartenga all’idea di ciò che è, tema che apre le porte alla deonticità delle essenze; ovvero, ogni cosa dandosi al soggetto presenta ad un tempo sé stessa e la valutazione di sé stessa in relazione al tipo di cosa alla quale appartiene.[7]

A questo punto De Vecchi riprende il tema dell’ontologia sociale, ricordandone la formulazione di Husserl, dalla quale vuole partire, ripartire. Husserl, ben prima di Searle aveva definito l’ontologia sociale come un’eidetica della realtà sociale, come una scienza a priori che si pone come fine il cogliere le strutture essenziali e invarianti delle entità sociali, delle varie specie di comunità sociali. All’interno della formulazione della fenomenologia Husserl formula anche il concetto di mondo della vita, fondamentale per le argomentazioni di De Vecchi, che identifica il mondo che ci circonda; mondo inteso come abitato da entità rilevanti e significative per la vita delle persone, siano esse entità naturali o artefattuali.[8] De Vecchi qui identifica la fenomenologia come un’ontologia della regione persona, intendendo la persona come soggetto di intenzionalità ad un tempo individuale e eterotropica, come soggetto nel mondo e con gli altri dove l’individualità si configura ad un tempo come singola persona e come insieme di differenti persone. De Vecchi sottolinea il continuo legame dell’individuo con il mondo che lo circonda e con gli altri, nonché sottolinea l’essere sempre motivazionale della vita del soggetto. Nel mondo il soggetto si trova a fare esperienza di oggetti che si danno già sempre come strutturati, organizzati e unitari. Gli oggetti si presentano come cose che esemplificano tipi di cose alla cui individuazione le qualità di valore partecipano in modo cruciale. L’essere di ogni cosa si dà alla nostra esperienza come intero fondato su parti che sono anche qualità di valore.[9] De Vecchi sottolinea così come le cose nel mondo non si presentino mai come neutre, ma sempre come all’interno di un piano assiologico che le definisce già in relazione al mondo della vita, in cui sono immerse, ed a sé stesse.

De Vecchi torna all’ontologia sociale di matrice analitica sottolineando come questa abbia una impostazione a-qualitativa lasciando così una lacuna ontologica che con l’ontologia sociale qualitativa si vuole per l’appunto colmare; ciò che viene messo in luce è come non si possa mai far riferimento all’esistenza di una cosa senza al contempo considerare le qualità di valore che ne sono parte costituente, giacché definiscono il suo grado di realizzazione di esistenza, indentificandola come ciò che è, come cosa di un determinato tipo. La qualità dell’esistenza con i suoi gradi di realizzazione infatti definisce l’esistenza della cosa stessa. De Vecchi sottolinea l’importanza di far sempre riferimento all’esperienza individuale ed in prima persona delle cose, esperienza che si caratterizza per essere già sempre qualitativa, condizione che permette di definire la buona vita delle cose, definendo la legalità essenziale delle cose. La fenomenologia come ontologia sociale qualitativa proposta da De Vecchi si propone di indagare il modo, l’intensità e la gradualità della cose, ovvero tutto ciò che rimane fuori dall’indagine dell’ontologia sociale di matrice analitica. Il momento fondamentale di ogni ricerca è infatti l’esperienza individuale in prima persona delle cose, in cui ogni cosa mostra il tipo di cosa che è, dandoci modo di comprendere quale sia la buona vita di tale cosa, in relazione al paradigma eidetico che essa stessa ci propone. Nell’indagine della regione persona emerge il mondo comune, il mondo della vita, il mondo in cui ci troviamo ad essere, e ad essere sempre in relazione con altri in un mondo che ci si dà già sempre come condiviso con altri che riconosciamo come persone. Riconosciamo così l’essere collettivo di alcuni soggetti che si generano dall’unione di differenti persone. De Vecchi ripropone le argomentazioni in relazione all’intero ed alla parte di Husserl, brevemente riassumibili nella tesi che l’intero non è riconducibile alla mera somma delle sue parti, giacché l’unione genera un nuovo qualitativamente determinante che non può ottenersi con il solo accostamento. A partire dalla teoria dell’uno e dei molti ci troviamo innanzi al problema di stabilire se e come un soggetto sociale possa essere inteso e nel fare questo le unità di valore racchiuse nell’idea analitica di oggettività risultano determinanti. Infatti le cose portano sempre con sé qualità di valore, o per meglio dire le qualità di valore fanno parte delle cose, ne sono una parte intrinseca inscindibile che permette di comprendere l’essenza stessa delle cose. L’astrazione dal qualitativo, per quanto possa dirsi utile in ambito scientifico, ad esempio medico, ha come conseguenza l’annullamento dell’essenza stessa della cosa che non può essere intesa senza le sue qualità delle quali facciamo esperienza. Con Husserl De Vecchi sottolinea che le qualità di valore sono parti essenziali dell’intero-cosa e che senza di esse la cosa in questione non possa nemmeno essere individuata, giacché da essa e in essa si determinano i vincoli che la definiscono.[10]

Esistendo nel mondo ci troviamo innanzi a cose che emergono come strutturate secondo vincoli di cogenza che ne determinano il tipo, le qualità ed il valore; la cosa nel darsi a noi ci manifesta i suoi paradigmi e la sua fondazione come intero. Che si tratti di prima o di seconda specie, ciò che emerge è il suo piano assiologico, il suo paradigma eidetico, la sua struttura ideale; esistendo [la cosa], realizza a diversi gradi il suo proprio eidos nel senso del suo essere ideale.[11] L’argomentazione di De Vecchi costruisce così le fondamenta per l’analisi sulla società che si compone come intero costituito da parti in una relazione duplice; De Vecchi sottolinea che ad un tempo la società si configura come unione che determina gli individui e che da essi è determinata.[12] Ora, le cose si presentano come di valore, i valori si percepiscono come un sentire innanzi alle cose, ed ogni persona risponde a suo modo a ciò che gli accade ed a ciò che gli si manifesta. Husserl aveva definito il tema della scienza sociale come ciò che di comune v’è ad ogni società, ovvero la ricerca della cosalità che fa della società la società. Così come ogni cosa manifestandosi mostra il suo eidos, allo stesso modo anche le società mostrano la loro essenza, paradigma eidetico che non muta nelle differenti società, ma definisce tutte le variazioni possibili entro i vincoli eidetici e consente dunque di rilevare le diversità effettive.

In questo dialogo con la tradizione analitica, De Vecchi sottolinea il fatto che la scissione fra naturale e sociale, fra oggettivo e soggettivo porta alla perdita delle attribuzioni di senso ad ogni cosa e nega drasticamente ogni assiologia, giacché elimina metodologicamente ogni sentire di valore. De Vecchi di contro riparte dall’esperienza in prima persona e da essa trae le strutture invarianti delle cose e quindi anche della società e, così facendo, riconsegna dignità obiettiva al valore delle cose che per quanto si consegni come personale si configura come obiettivo giacché trascende il contingente.[13]

Le argomentazioni di De Vecchi richiamano al vivere con altri proposto da Husserl, vivere in un mondo della vita che condividiamo con altre persone e che si costruisce in relazione anche ad esse. In tale mondo noi, gli altri e noi con gli altri come soggetti sociali percepiamo il mondo ed in esso emerge un piano assiologico o valoriale che, per quanto percepito diversamente a seconda delle diverse sensibilità, si mostra intrinsecamente legato all’essenza delle cose stesse; si configura così un piano soggettivo e oggettivo ad un tempo nel quale sono identificabili strutture generali ed invarianti, ovvero un piano valoriale con la sfera normativa ad esso legata. Il mondo della vita proposto da De Vecchi non si configura più come separato fra mondo sociale e mondo naturale come nell’ontologia sociale di Searle, bensì si configura come un unicum in cui ogni cosa emerge nel vissuto personale del soggetto che esiste come individuale e parte di un’intersoggettività, sulla scorta delle argomentazioni di Husserl, di Scheler e di Stein. De Vecchi fonda l’ontologia sociale qualitativa nella correlazione tra soggetto personale e cose di valore in un mondo personale[14]; così facendo oltrepassa il tema della contrapposizione fra natura e cultura, mostrando come esse si compenetrino e come non possano effettivamente essere scisse.[15]

Giungiamo ora all’ultimo tema importante affrontato dall’opera di De Vecchi, del quale, seppure per sommi capi, abbiamo delineato le fondamenta, ovvero l’ontologia sociale dei soggetti collettivi. Esistiamo in un mondo che si presenta sempre come comune, ad un tempo come individuale e come collettivo. Il nostro essere personale si definisce come intrinsecamente sociale giacché in correlazione con un mondo di cose condivise. In tale contesto possiamo cogliere la dimensione intersoggettiva, sociale e collettiva come fondamento per un’ontologia dell’essere della persona, giacché nel mostrarsi a noi delle persone è possibile cogliere l’essenza dell’essere persona. Il mondo si presenta ad un tempo come il mio mondo e come mondo collettivo, così come le cose si mostrano come di valore per noi e per gli altri affondando in un contesto motivazionale in cui il nostro flusso intenzionale si interseca a quello degli altri. L’essere persona ha nella sua essenza l’essere sociale il vivere sempre in relazione ad altre persone. Infatti come ogni cosa si relaziona alla sua cosalità, allo stesso modo l’essere persona si relaziona alla sua essenza. De Vecchi sottolinea però una caratteristica in più dell’essere persona, ovvero il suo costruirsi strutturalmente in relazione ad altri. Se Husserl parlava di insieme collettivo delle persone in relazione al vivere in un mondo condiviso, Scheler approfondiva il tema mostrando l’esistenza di un Io anonimo impersonale che precede la costruzione della singola persona facendola afferire all’essenza dell’essere persone. Da qui De Vecchi approfondisce il vivere comune facendo riferimento alla tassonomia dei profili ontologici qualitativi e definendo l’esperienza eterotropica che vincola le persone fra loro muovendo dalle valorialità che orientano le persone nel vivere e nell’agire. In questo contesto l’individuo si configura ad un tempo come persona e come parte di un soggetto sociale in cui le sue scelte possono disporsi sia come passive, ovvero quando seguono le influenze della massa senza porre su di esse analisi proprie personali, sia attive, fin tanto da essere influenti sull’essenza stessa dell’intero sociale al quale fanno parte. L’intero si configura così in un rapporto bidirezionale ove il soggetto è determinato dal contesto in cui vive e dove quest’ultimo può essere determinato dal primo. Non di meno però da tale intero, intero sociale, è possibile trarre i vincoli strutturali dell’essere struttura sociale, vincoli normativi che permettono di valutare l’insieme stesso in relazione alla sua buona vita. Lo scopo dell’ontologia sociale qualitativa è quello di fornire gli strumenti per poter rendere conto dell’essere qualitativo dei diversi tipi di cose di cui facciamo esperienza, incluso quindi il mondo della vita e l’esistere come individuo personale e collettivo all’interno di uno o più insiemi sociali, traendo da qui i vincoli che permettono la buona vita della persona come parte di un soggetto collettivo e come individualità, vincoli che si mostrano per loro natura come assiologici e normativi, dunque etici.[16]

L’ontologia sociale

Le tesi proposte da De Vecchi possono essere sostanzialmente divise in due gruppi concettuali. Da un lato troviamo il rapporto con l’ontologia sociale di stampo analitico e dall’altro l’ontologia sociale qualitativa di stampo fenomenologico; per questa ragione l’argomentazione si struttura principalmente in relazione a due poli, se da un lato si tenta di identificare quella che viene definita come la lacuna dell’ontologia sociale, dall’altro si cerca di colmare tale lacuna ripartendo dall’origine stessa del concetto di ontologia sociale. In prima battuta le argomentazioni di De Vecchi possono essere riassunte, nell’identificazione del problema delle tesi di Searle e Gilbert, che trovano il loro fondamento nella separazione fra sociale e naturale, che in conseguenza non danno alcun valore ontologico a ciò che non ricade sotto l’occhio attento della scienza, ovvero a ciò che non può essere matematizzato e/o trattato con metodi statistico-empirici. Le tesi analitiche in merito vengono argomentate prevalentemente in relazione a due argomentazioni. In prima battuta potremmo dire che ciò che segue dalle intenzionalità umane dipende da esse ed in conseguenza non può essere inteso come naturale; in seconda battuta che ciò che non è oggettivamente misurabile non ha valore oggettivo. Le argomentazioni di De Vecchi criticano entrambe queste tesi mostrando come così facendo queste elimino radicalmente il senso di ogni cosa e sottolineando come la pretesa dell’oggettività del naturale di per sé perda di senso non appena le cose perdono le loro qualità, giacché così facendo non è nemmeno possibile identificarle. In seconda battuta De Vecchi sottolinea come lo iato fra naturale e sociale non sia da intendere come nella proposta analitica, giacché sia ciò che è naturale sia ciò che è sociale dipende dall’intenzionalità umana. Infatti a non dipendere dall’uomo è solo l’origine dei fatti naturali, ma il loro perdurare permanere o cessare di esistere, così come ogni modificazione, segue parimenti ai fatti sociali dalle scelte umane.

L’ontologia sociale qualitativa

Al termine delle argomentazioni di De Vecchi ci si ritrova convinti che l’ontologia sociale analitica rimane sostanzialmente incapace ad assolvere il suo stesso compito e necessita di una nuova fondazione, che viene trovata nelle pagine di Husserl e della scuola fenomenologica. Questi ultimi definiscono l’ontologia sociale come lo studio delle forme sociali come enti, degli eide sociali che accomunano ogni società. Ne consegue che, come nel caso di ogni qual si voglia cosa, anche nel caso dei fatti sociali sia possibile giungere alla loro cosalità dal loro darsi. Ogni cosa, chiarisce Husserl nel darsi presenta la sua immagine, la sua idea, in relazione alla quale è possibile comprendere a quale tipo di cosa questa appartenga ed in quale grado questa ne sia una manifestazione. Ne consegue che vedendo una cosa, facendone esperienza, possiamo comprenderne il concetto generale al quale essa afferisce, afferrare il tipo di cosa di cui si tratta e di cui la cosa in questione è un esemplare più o meno buono (anche se non necessariamente disponiamo già del concetto adeguato, che in molti casi va reperito, modificato etc.) e sapere se ne sia una buona manifestazione. In altre parole, ciò che ci si dà nelle cose è un piano assiologico normativo in relazione al quale comprendere se e come queste si manifestano. De Vecchi muove da qui le sue argomentazioni in relazione all’essere persona, all’essere ad un tempo individuo sociale ed individuo parte di un intero sociale, ovvero persona che è sempre in un mondo che gli si dà come qualitativamente determinato e in comune con altri. La valorialità del mondo si definisce sempre in relazione a dei valori personali e condivisi ad un tempo, il vivere, l’esperire è sempre un vivere ed esperire con altri, in un mondo della vita in cui non abitiamo soli. L’esistere come persone, spiega De Vecchi, richiama ad un tempo all’essere determinati e determinanti nei confronti degli interi sociali ai  quali  apparteniamo, in quanto ci riconosciamo come parti di un insieme irriducibile alla mera somma di queste ultime, ovvero come parti che determinano e sono determinate, che sono significate e che risignificano, generando un nuovo dinamico al quale prendono per l’appunto parte nell’esistere.

Nuove vie di ricerca

La società in persona è un crocevia che apre ad alcune nuove strade. Si presenta come un’opera di rifondazione dell’ontologia sociale ripartendo da un piano metafilosofico che si interroga sul significato stesso della ricerca ontologia sociale. Le critiche mosse a Searle e Gilbert e l’idea di fenomenologia come ontologia sociale della persona portano con sé numerose nuove possibilità per continuare questa ricerca. In primo luogo, l’indagine sul problema delle ontologie sociali di stampo analitico porta ad interrogarci sulla natura stessa del metodo analitico. L’assenza del qualitativo infatti inficia non solo l’ontologia sociale, ma il senso stesso della ricerca, giacché non permette alcuna determinazione di senso. La critica potrebbe essere quindi estesa dalle ontologie sociali alla metodologia stessa della ricerca, se non anche a quei testi dai quali prende le mosse l’intera ricerca analitica, che forse portano con sé alcuni significati non ancora presi in considerazione. Brevemente, la filosofia analitica prende le mosse dal Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein opera che si staglia nel panorama della filosofia del Novecento come uno fra i testi più rilevanti del secolo, argomentando l’impossibilità di trattare il tema del senso dell’esistenza a partire dai presupposti su cui tale testo si fonda. Il problema delle ontologie sociali era il problema conclusivo del Tractatus, ovvero il problema di poter definire quello che Scheler chiama l’a priori materiale e Kant come il sintetico a priori. A nostro avviso la ricerca di De Vecchi richiama all’interrogarci già da qui in un momento di fondazione della ricerca filosofica stessa. In secondo luogo, ritroviamo sottolineato il problema dell’impossibilità di definire le cose stesse facendo venir meno le qualità, poiché esse determinano le essenze stesse delle cose. A nostro avviso questa tesi è ben più radicale di quanto non sembri restando all’interno del dibattito analitico, giacché l’intero mondo svanisce non appena vengono meno le qualità, la stessa matematizzazione della realtà diventa incomprensibile non appena le cose perdono il loro senso. L’oggettività infatti altro non è che una soggettività condivisibile per mezzo di parametri. Ogni volta che distinguiamo una cosa da un’altra lo facciamo per mezzo di unità di senso che si manifestano qualitativamente. L’esistere è sempre esistere ad un soggetto, quand’anche si tratti di un soggetto ipotetico, senza soggetto l’oggetto non può strutturalmente darsi, perché non vi sarebbe nessuno al quale si dà. Il concetto di realtà e di mondo sono sempre intesi in relazione ad un soggetto, senza per questo perdere la loro trascendenza rispetto all’apparire che rimanda sempre ad un’idea che procedendo dall’esperienza oltrepassa il contingente. Nella Critica della ragione pura Kant chiariva come l’oggettivo non ha alcun valore ontologico giacché solamente un mezzo teorico per il calcolo, ma senza nessun fondamento di realtà, in quanto segue da postulati interpretativi che si fondano nel soggetto; ciò che ha valore ontologico è “la cosa nel come” dei suoi modi di datità, non la cosa “in sé”. Volens nolens noi siamo soggetti e non possiamo sfuggire dall’esistere in prima persona in un decorso storico presente che affonda in un passato che ci ha determinato e l’intenderci come tali apre ad una possibile forma di obiettività che senza tale considerazione non possiamo assolutamente nemmeno ideare. Noi siamo condizione sine qua non del fare esperienza del mondo. L’oggettivo è per sua natura noumenico, ed il mondo non è nel noumeno, bensì nel rapporto fra noi ed il mondo. Le cose, il mondo, la realtà si strutturano nel rapporto soggetto mondo, nelle pieghe del darsi trascendentale, fra l’occhio e l’oggetto che riflette la luce generando il colore. Se leviamo la relazione al soggetto il mondo semplicemente non esiste, giacché l’esistere segue alla relazione con un soggetto, determinandosi nel rapporto della coscienza con ciò che contrasta in differenti modi al suo pensiero, come ciò che la stimola e che la inerisce suo malgrado. Il soggetto crea e si crea in relazione all’altro da sé che gli si dà come mondo, come altro da sé.

Queste argomentazioni sostanziano la tesi di De Vecchi , ovvero l’essere sempre sociale dell’individuo. Con una breve fenomenologia dello scoprirsi a sé, del diventare coscienza, emerge come noi prima d’ogni altra cosa reagiamo ad un mondo che ci inerisce con violenza e ci piega principalmente con il dolore; in questa situazione riconosciamo diversi modi per cambiare il nostro stato. Il tentativo di affermare la nostra volontà mostra diversi limiti, mostra cose che seguono il nostro volere in diversi gradi, la nostra mano si muove immediatamente prima del nostro pensare di muoverla, o immediatamente dopo, la nostra corporeità segue alla nostra volontà nella prossimità del nostro volere, precedendo o seguendo al pensiero, mentre gli altri oggetti devono essere mossi dal nostro corpo per seguire al nostro volere e non tutti possono essere mossi con la stessa facilità ed alcune corporeità non si lasciano piegare alla nostro volere. Dal genitore che dice “No”, all’altro che agisce come se anch’esso avesse coscienza, e ci si impone con direttive e ordini, e che agisce prendendosi cura di noi, riconosciamo noi stessi in una relazione di volontà di coscienza che si relazionano fra loro. Noi per essere noi abbiamo bisogno di un altro da noi che definisca che cosa è altro. Dal rapporto con l’altro si forma l’Io, che apprende e copia il comportamento altrui, la lingua le abitudini, apprende i modi di affermare sé stesso in un contrasto che è un compatire, nel senso etimologico del termine, che è un provare emotivo, qualitativo insieme agli altri l’esistere in un mondo che non si piega alla volontà come mera corporeità.

Giungiamo dunque a due momenti fondamentali a cui ci porta l’indagine di De Vecchi, ovvero la conclusione dell’essere sempre come individuo intersoggettivo ed il problema dell’esistere etico. In primo luogo, l’Io si forma nel rapporto con l’altro interiorizzando l’altro e creandosi come altro da sé. Perdendo l’onnipotenza l’infante inizia a progettarsi in relazione all’idea di ciò che vuole essere divenendo bambino e poi adulto. Si riconosce come l’altro che non è più, persa l’onnipotenza insegue tale immagine nel tentativo di riaffermarsi, di riportare il mondo o sé stesso a riconoscere quella sua volontà che i primi momenti di vita gli hanno mostrato come non riconosciuta. L’atto cartesiano dell’affermarsi Io sono è l’atto di darsi valore ontologico di eidos di sé come ente, come essere e non ancora come esistere nella sua totalità. L’uomo così agisce inseguendo quell’immagine di sé che tenta di darsi agli altri per sé stessa nel suo massimo grado, in relazione al suo non riconoscersi tale e da qui si afferma il contrasto tra ciò che siamo qui ed ora nell’esistenza e quell’essere che idealmente siamo come totalità ontologica di noi, come eidos del sé non ancora realizzato nel suo grado pieno. Qui l’educazione e l’autoeducazione assumono un ruolo cruciale nell’essere etico di sé come io con altri e come io con l’altro da me che è la mia essenza nella possibilità della progettazione di sé. L’infante guidato al pensiero, al dialogo muto che l’anima ha con sé stessa, al rapporto Io eidos di sé che genera l’essere dell’uomo. Nell’educazione si porta al pensiero, alla duplicità del riconoscersi individuo duplice che è idea di sé incompiuta e che esiste come tentativo di realizzarla, individuo dunque sempre in relazione che dapprima viene educato e che poi si auto educa ad essere ciò che vuole essere nella progettazione di sé nel mondo che è sempre mondo con altri, e che lo sarebbe quand’anche non ci fosse nessuno, ma in relazione alla possibilità dell’altro che fonda il pensiero. L’uomo che si progetta come idea di sé si progetta affinché possa darsi a sé stesso ed agli altri come ciò che vuole essere. Questa relazione Io-sé prevede dunque strutturalmente l’altro nel suo fondamento.

Così De Vecchi conduce ad un nuovo inizio, a nuove vie di ricerca non ancora affrontate che possono seguire dalla sua opera; in particolare sul tema dell’essere con altri in società. A nostro avviso risulta necessaria l’educazione e l’auto educazione al pensiero ovvero al rapporto con l’altro che siamo a noi stessi e che è a noi stessi. In quest’ottica l’ontologia sociale qualitativa si definisce come il pensiero di per sé se intesa nel senso originale di Husserl, ovvero come il pensare fenomenologicamente all’essere che è si disvela nella relazione Io mondo individuale soggettiva dell’essere sempre nel mondo individuale privato e collettivo. Rimangono dunque aperte le vie della ricerca sull’educazione ed autoeducazione all’essere come essere etico in relazione all’essere nel mondo con altri, ovvero un’indagine estetica fenomenologica dell’essere nel mondo che si occupi di tracciare l’assiologia con cui potersi definire rispetto a sé stesso in relazione alla propria buona vita dell’essere sempre l’altro per sé che si prende cura di sé stesso nell’essere altro dal proprio eidos e nell’essere sempre tentativo di divenire tale eidos agli altri, di cui esso stesso fa parte. Si configurano così nuove vie di ricerca per quell’Io che è il suo mondo di cui parlava Wittgenstein, in un senso completamente nuovo, in un senso ontologico sociale qualitativo che definisca un’assiologia della buona vita.


[1] Cfr. John R. Searle. Making the Social World: The Structure of Human Civilization, Oxford University Press, 2010.

[2] Cfr. Margarete Gilbert. Il noi collettivo, Impegno congiunto e mondo sociale, F. De Vecchi, Cortina, Milano, 2015.

[3] De Vecchi, Francesca. La società in persona, Ontologia sociale qualitativa, Il Mulino, Bologna, 2022, pp.7-8.

[4] Ivi p.8.

[5]Cfr. Ivi.pp.8-9.

[6]Cfr. Ivi.pp.13-18.

[7]Cfr. Ivi. pp.18-21.

[8] Ivi. pp. 21-22.

[9] Ivi. p. 22.

[10]Cfr. Ivi. pp. 22-38.

[11] Ivi. p. 41

[12] Cfr. Ivi. pp. 38-97.

[13] Cfr. Ivi. pp. 97-98.

[14] Ivi. p. 119

[15] Cfr. Ivi. pp. 98-119

[16] Cfr. pp. 119-243.

Elisa Magrì, Anna Bortolan (Eds.): Empathy, Intersubjectivity, and the Social World, De Gruyter, 2021

Empathy, Intersubjectivity, and the Social World: The Continued Relevance of Phenomenology. Essays in Honour of Dermot Moran Book Cover Empathy, Intersubjectivity, and the Social World: The Continued Relevance of Phenomenology. Essays in Honour of Dermot Moran
New Studies in the History and Historiography of Philosophy
Elisa Magrì, Anna Bortolan (Eds.)
De Gruyter
2021
Hardback $102.60
450

Alfred Schütz: Schriften zur Musik

Schriften zur Musik Book Cover Schriften zur Musik
Alfred Schütz Werkausgabe VII
Alfred Schütz. Edited by Gerd Sebald and Andreas Georg Stascheit
UVK Verlag Konstanz
2016
Hardcover 49,00 €
264

Reviewed by: Shang-Wen Wang (Assumption University, Bangkok, Thailand)

The Meaningful Construction of Social World

Alfred Schutz (13 April 1899 – 20 May 1959, the surname in English has the “Umlaut” over the “u” as  always omitted), was an Austrian philosopher and social phenomenologist. He bridged both sociological and phenomenological traditions in his works. In his major work Der sinnhafte Aufbau der sozialen Welt (1932), which was translated into English as Phenomenology of the Social World (1967), Schutz combined Edmund Husserl’s phenomenology, Henri Bergson’s philosophy of duration and Max Weber’s interpretative sociology. Schutz’s main philosophical concern is how meaning is constructed in the social world. Max Weber built the origin of meaning on the conducting subject while Schutz on the intersubjective “Lifeworld”. In the dialectical relationship between pre-existing social and cultural factors and the conducting subjects within them, social reality is genetically formed.

Collected Papers, Gesammelte Aufsätze and ASW

Many works by Schutz have been published in English and separately in different places. After his death in 1959 these works were edited by scholars and republished as four volumes Collected Papers by Martinus Nijhoff Publishers. The first three volumes were published between 1962 and 1966 and then translated into the German language as Gesammelte Aufsätze. They were published by the same publisher in 1971-1972. The fourth volume was lately published in 1996, but without a German translation. This edition comprised of many works by Schutz, but was not entirely completed. One article in this volume, “Meaning of a Form of Art (Music)”, for example, is not included in the Collected Papers.

Since 1994 the “Alfred Schütz Archiv Konstanz” in cooperation with “UVK Verlag Konstanz” began to edit a historical-critical edition titled Alfred Schütz Werkausgabe (ASW) in the German language which contains Schutz’s German articles and unpublished works. It is worth mentioning three points about this edition:

  • The texts are not just untouched and republished but edited with Schutz’s manuscripts. On every page readers can see the detailed editorial notes.
  • At the beginning of each work there is an editorial report describing the documentations of its publication history. This edition can satisfy the readers who enjoy the German philological way of philosophical research.
  • This edition has a different and more elaborate division of the volumes. According to varied topics Schutz’s work is systematically divided into nine topics with twelve volumes and in every volume the articles are chronologically arranged with an insightful introduction by the editor.

Schutz and Music

Although Schutz was a prestigious philosopher and sociologist, his major at Vienna University was law (with a minor in economics and philosophy) and his main jobs were being a lawyer and a financial officer in a bank, both in Vienna and then in exile in New York. Teaching philosophy in the New School was only his part-time job until 1952, when he became a full-time professor there. Just like his pure love of wisdom (philos-sophia), music was his other devotion throughout his entire life. When he was young, he learned piano with a trumpeter in the orchestra, who did not teach him much on piano technique “but what this man taught him was MUSIC”.[1]

Compared to string and wind instruments, piano is more of a solo instrument because of its possibility of being richer and capacity to deliver more tunes. Schutz liked, however, to play chamber music with others as well. According to his wife Ilse Schutz, Alfred Schutz joined chamber music practices every Saturday afternoon regularly during the span of his eighteen years in Vienna. Most of them were duos of violin and piano, but sometimes he also played trios. Ilse Schutz said: “I think he could have been without food all week long, but he couldn’t have been without his Saturday afternoon violin sonatas.”[2] Through the brief description of Schutz’s devotion to music practice, people can imagine how big of a role music played in his life.

Schriften zur Musik

As an amateur musician and music enthusiast, the phenomenologist Schutz had also conducted some research on music. This work was initially put in separate volumes of Collected Papers, but in ASW the editor set the topic Schriften zur Musik (Writings toward Music), volume seven of ASW, and gathered them together. This volume contains four long texts:

  • “Sinn einer Kunstform (Musik)” (“Meaning of a Form of Art (Music)”): The original text was in the German language. It was published for the first time in 1981 and translated into English with the title “Meaning Structures of Drama and Opera” in 1982. The text here was reedited according to the manuscript. Here Schutz discussed what the meaning of a form or genre of art is. He used the genre opera as an example and indicated through the discussion about the history of opera, that the meaning of a genre comes from its genetic development, i.e. its history. Schutz used Mozart and Wagner as his main material (Stoff) for discussion.
  • “Fragmente zur Phänomenologie der Musik” (“Fragments toward a Phenomenology of Music”): This first part (§1-§25) of the text was published in F. Joseph Smith (ed.), In Search for the Musical Method, London: Gordon & Breach, 1976, pp. 5-72; later it was reprinted in the Collected Papers IV, pp. 243-275. The second part (§26-§29) was published for the first time in Schutzian Research, 5, 203, pp. 17-22. The whole text here was for the first time translated from English into German and the two parts were published together. In a letter to Fritz Machlup Schutz mentioned that he tried to conduct research on “Phenomenology of the Musical Experience”, but until his passing away this project did not finish. Fortunately he left these twenty nine fragments for us to realize his main idea: that a musical work is to be treated as “a meaningful context” (ein sinnhafter Zusammenhang). Just with this presupposition, the composer, performer and the listener can really understand the musical work and play their role well within the musical activity.
  • “Gemeinsam Musizieren. Eine Studie sozialer Beziehungen” (“Making Music together. A Study in Social Relationship”): The original English text was firstly published in Social Research 18 (1951) and then reprinted in the Collected Papers II (1964). It was translated into German in the Gesammelten Aufsätzen II in 1972. The German text here was a revised translation. Following the two previous mentioned texts, Schutz investigated the communication process, which is a kind of social interaction among composer, performer and listener in music. This is meaningful context of music, so music is not made only by the performer, but by all of them together.
  • “Mozart und die Philosophen” (“Mozart and Philosophers”, in Collected Papers II, pp. 179-200): This text was published firstly in Social Research 23 (1956) and then reprinted in Collected Papers II (1964). The first German translation was published in the Gesammelten Aufsätzen II (1972). It, following the idea in “Sinn einer Kunstform (Musik)”, mainly dealt with Mozart’s operas and some philosophers’ comments on them. This was a speech text publicly spoken three times in the New School, the music society in New York and Peabody Conservatorium in Baltimore.

Music and Music Making as Model for Social Relationship

Most people would treat music as just entertainment, an instrument to relax with, or an activity to vent emotions, and would treat music making as just technical and physical practice. Different from these vulgar opinions, however, Schutz’s research indicated that music is a meaningful context and whole. All of the participants in the musical activity should focus on this point: The composer makes it a meaningful structure with various relationships of tones within the duration of time, whereas the performer embodies this meaningful whole in acoustical space by him or herself or in cooperation with others. With regards to listening, the meaningful whole obtains the field necessary to realize itself in the consciousness of the listener. Music and music making unfold themselves as the models for the structure and realization of meaning within the social relationships in Schutz’s phenomenological sociology.

The Limitation of the Research

Of course we should not expect the musical writings of a philosopher to be very rich and comprehensive like a musicologist’s, not to mention that Schutz still had a busy job in a bank. (Theodor W. Adorno could be the only exception in this field.) Here is some mere nitpicking: The concrete music examples were not rich and representative enough, e.g. in the discussion of opera only Mozart and Wagner were emphasized without mentioning the Italian tradition, which was momentous in the history of opera.

Mozart was undoubtedly his favorite composer, whose name often appeared in the paragraphs of the four texts. Schutz’s musical taste, however, might have affected his psychological analysis of musical listening. According to German musicologist Heinrich Besseller (1900-1969) musical listening is historical, i.e. people in different times have different ways of listening.[3] If Schutz only confined himself to Mozart’s music, i.e. the music of the Classical period, and ignored the music of other periods, then his analysis would not be very persuasive and might lack some valuable points, although his theoretical elucidation was very impressive. Adorno’s musical writings are so valued both in philosophical and musicological fields, just because he dealt with the most important music and musicians in the Western tradition.


[1] Ilse Schütz, “Interview (with Anne Schwabacher) on 10th November 1981”. Here cited from Alfred Schütz, Schriften zur Musik, p. 10.

[2] Ibid., p. 11.

[3] Cf. Heinrich Beseller, “Das musikalische Hören der Neuzeit“, in his Aufsätze zur Musikästhetik und Musikgeschichte, Leipzig 1978.